mercoledì 13 marzo 2013

Habemus papam

«Non c'è nulla di grande nel simulare o nell'ostentare digiuni col viso triste e pallido, nell'abbondare di rendite dai propri possessi e vantare un mantellino da quattro soldi. Il famoso Cratete di Tebe, uomo un tempo ricchissimo, quando si diresse ad Atene per praticare la filosofia gettò una gran quantità d'oro e non ritenne di poter possedere insieme la virtù e le ricchezze. Noi, invece, seguiamo Cristo povero imbottiti d'oro; e se nascondiamo le ricchezze della nostra precedente vita sotto il pretesto dell'elemosina, come possiamo distribuire fedelmente i beni altrui, quando in maniera pavida teniamo i nostri beni per noi? Una pancia piena parla facilmente di digiuno».

«Il vero tempio di Cristo è l'anima del credente: è quella che devi adornare, è quella che devi rivestire, è a quella che devi offrire doni, è in quella che devi accogliere Cristo. A che serve che le pareti rifulgano di gemme e che Cristo nella persona di un povero muoia di fame?».

Gerolamo (san Gerolamo, per chi ci crede) scrisse queste parole nel 395. Mai come stasera, ho la speranza che si possa andare in questo senso, milleseicentodiciotto anni dopo.
Io non so se il primo papa figlio di migranti, il primo Francesco (nome, non a caso, mai usato nella storia del papato), sarà all'altezza delle aspettative e delle tremende pressioni su di lui. Me lo auguro e glielo auguro. Spero in un papa meno conservatore, anche se le etichette valgono poco e lasciano il tempo che trovano. Prego per un papa che sia in grado di aprire al mondo omosessuale, al sacerdozio femminile e più in generale al pieno riconoscimento della dignità delle donne, che metta al centro della sua azione gli umili, i diseredati, gli emarginati, le minoranze di ogni genere e colore. Un papa che combatta fino in fondo, senza paura e senza guardare in faccia nessuno, le storture e il marciume che si sono accumulate in una Chiesa sempre meno casa di Dio e sempre più spelonca di ladri. Un papa che riporti tra noi la bellezza commovente di una divinità che è padre, ma è anche Madre, come osò dire Giovanni Paolo I.
(Ratzinger, ai suoi tempi, può aver detto quello che vuole: io non rinuncerò mai a rivolgermi, più ancora che al padre nostro che è nei cieli, alla Madre nostra che è sulla Terra.)
Spero che Jorge Mario, Francesco I, porti qualcosa di buono. Per il resto, le parole di Gerolamo continuano a risuonarmi in testa, come un monito: venter plenus facile de ieiunio disputat.

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