domenica 14 aprile 2013

La fatidica domanda

... no, non è: «Vuoi sposarmi?».


A volte mi soffermo a pensare a quanto grande sia la quantità di domande inopportune che possono essere rivolte a una persona: credo sia pari soltanto al coefficiente-facciadibronzo necessario per formularle.

La migliore in assoluto, naturalmente, è: «come va?».
Senza esagerare, è un grande classico. A ogni occasione sociale, a ogni incontro più o meno fortuito, il Come Va è la tentazione cui quasi nessuno sa, o vuole, resistere. Se già in un periodo "normale" si situa ai limiti dell'indiscreto (sconfinando talvolta nel "non so cosa dire ma devo rompere il ghiaccio e sono passati troppi pochi secondi per parlare del tempo"), in questa fase storico-economica chiedere come va è da de-fi-cien-ti.
Punto numero uno: se mi conosci e mi sei vicino sai già come sto, non hai bisogno di chiedermelo. Se me lo chiedi, vuol dire che non sei mai stato abbastanza interessato alla mia vita da avvicinarti e non vedo perché tu debba interessartene adesso, solo per riempire un minuto di conversazione in cui non c'è nulla da dire.
Punto numero due: se mi chiedi come va, mi costringi a rispondere. La scelta va da «sono affari miei» a «vuoi davvero saperlo?». Senza contare che il Come Va non prevede mai come risposta: «male, grazie». Se non sei interessato alla mia vita, l'ultima cosa che vuoi è sentirti raccontare la mia personalissima Historia calamitatum mearum.
Punto numero tre: se mi chiedi come va, mi costringi a chiederti a mia volta come va, anche solo per cortesia. E se a me la tua risposta importa quanto a te importa la mia? Se non me ne può fregar di meno? Come la mettiamo?

Un sottotipo particolare del Come Va è il Come Va Giornalistico, cavallo di battaglia dei telegiornali. Scena: amenità a scelta tra cataclisma, terremoto, tsunami, disastro nucleare, incendio, strage del sabato sera, carneficina et similia. Giornalista domanda a un sopravvissuto o, in mancanza d'altro, a un amico/parente del caro estinto: «come va?». Idiota patentato, hanno scelto casa mia per le prove generali del Giudizio Universale, secondo te come può andare??

Un'altra bella è: «allora, ce l'hai il fidanzato?». Prerogativa di parenti e amici di famiglia.
Se la risposta è «no», segue sguardo di commiserazione. O, in alternativa, di sospetto (da leggere: «se non ne hai uno... non è che ne hai molti? Oppure ne hai una? O molte? O molti e molte? Aaaah peccatrice!!». E se anche fosse?).
Se la risposta è «sì»... no. Mai, mai rispondere di sì a una domanda del genere! Il discorso prende più o meno questo tenore:
«Allora, ce l'hai il fidanzato?».
«Eh... sì».
«Ah, che bello! Quando ce lo presenti?».
«Ma veramente io...».
«Dai, i cugini/gli zii/la nonna/il cane il gatto il pesce rosso/tutti i congiunti fino alla settima generazione saranno felicissimi di conoscerlo!».
[Per inciso: ecco perché non lo presento.]
Ma non finisce qui: la particolarità di questa domanda è che è soggetta a evoluzione. Una volta conosciuto il fidanzato, la domanda muta in: «allora, a quando le nozze?». Dopo le nozze (sempre che il malcapitato fidanzato non sia fuggito prima, innamorandosi perdutamente di un'orfana) diventa: «sì, adesso avrete un figlio o volete aspettare un po'?». Dopo il primo figlio: «non sarebbe ora di dare un fratellino o una sorellina a questa creatura tutta sola?». Sì, guarda, adesso mi metto a generare un numero spropositato di figli. Ma solo per dare a te, parente serpente, modo di chiedermi: «ragazzi, ma non volete proprio fermarvi?».

Poi c'è la Domanda Bastarda. Quella da non fare mai, e sottolineo mai, a un precario, e men che meno a un neolaureato. Ho il sospetto che alcuni conoscenti particolarmente sadici raggiungano l'orgasmo nel chiedere: «dimmi, hai trovato lavoro?».
Senti, mi sono laureata dieci giorni fa. So anch'io che prendere 110 e lode non vuol dire più niente, ma lasciami almeno il tempo di capire che cosa vuol dire «dignità di stampa» (un'altra cosa inutilissima, immagino). Come cantava il mio amato Samuele Bersani qualche anno fa: togli la ragione e lasciami sognare, lasciami sognare in pace. Tanto non è che fuori casa ho la fila di gente che mi rincorre per offrirmi un lavoro migliore di quello che faccio, quindi dieci giorni in più o in meno da pseudo-insegnante privata non fanno nessuna differenza. 
E poi scusa, ma ti pare? Avrei tappezzato la città di cartelloni, se avessi trovato qualcosa di un pochino più stabile. Avrei pagato da bere a tutti e chiamato i parenti. Anche quelli di secondo, terzo e quarto grado, crepi l'avarizia.
Una buona risposta da dare sarebbe: «sì, guarda, mi sono fatta assumere in Mondial Casa. Così posso finalmente provare a venderti una padellata di CAZZI TUOI».

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