venerdì 23 novembre 2012

Bellezza in bicicletta

Trenitalia m'informa che un'azienda partner ha prodotto una prestigggggiosa bici pieghevole che viaggia gratis su tutti i treni e che potrò acquistare a un prezzo promozionale in quanto socia Cartafreccia (tessera fatta unicamente per andare a Firenze senza svenarmi). Vado a vedere i dettagli sul sito, per curiosità, e trovo questa frase: «La Link P9 "Frecciarossa" ha un prezzo di 590 euro (IVA inclusa), riservato ai soci del programma CartaFRECCIA (a fronte di un prezzo base intero di vendita al pubblico dello stesso modello con i medesimi accessori di 902 euro)».
WTF??
Da Decathlon una bici pieghevole si compra con 150 euro.
Ora, signori di Trenitalia, ripetete con me: voi siete furbi, ma io non sono scema.

giovedì 22 novembre 2012

#ioportoipantalonirosa

«Frocio», «ricchione», «finocchio», e altre etichette di questo genere.
Quante volte le sentiamo in una giornata?

Molti dei miei più cari amici sono omosessuali. Alcuni dichiarati, la maggior parte no. Quand'ero più piccola mi chiedevo, un po' ingenuamente, di che cosa si vergognassero. Poi sono cresciuta e ho iniziato a riconoscere la paura di ricevere uno sguardo colpevolizzante, un commento malevolo, un'offesa verbale o addirittura fisica. Il timore di "deludere" i propri familiari, certo, ma anche il terrore di avere problemi sul lavoro. Come se essere omosessuali fosse una colpa.

Un ragazzo di quindici anni si è impiccato. Quindici. Al posto suo potrebbe esserci, a seconda della nostra età, un nostro fratello, o amico, un nostro allievo, un nostro figlio. La pena che si portava nel cuore la conosce solo lui, e non sono nessuno per provare a descriverla anche solo lontanamente. Ma proviamo, anche solo per un attimo, a immaginare. 

Perché è dovuto accadere? Qualcuno potrà dire «non doveva uccidersi, doveva lottare», ma è troppo facile. Beati coloro che sono sempre sicuri di sé stessi, che ignorano che cosa può accadere in un attimo di disperazione: basta un niente, un'impennata dell'anima, e d'improvviso tutto salta.

Chi dovrà (dovrebbe) rispondere per la morte di questo ragazzo, che purtroppo non è il primo e temo non sarà l'ultimo a uccidersi?

Sicuramente quelli che «l'omosessualità è contro natura» e altre idiozie parascientifiche. Trovatemi un testo scientifico, uno solo, che provi una tesi delirante di questo genere.
Quelli che sono troppo beceri, ignoranti e cattivi per lasciare in pace chi è "colpevole" di vivere in un modo che dà loro fastidio. Ma farvi una vita vostra, no?
Ma anche quelli, molto più ipocriti e se possibile ancor più schifosi, che «no, non sono omofobo, non mi danno nessun fastidio, basta che non vengano a rompere le palle a me» (evidentemente, costoro sono parenti stretti di quelli che «non sono razzista, basta che se ne stiano a casa loro»). Dico, ma vi sentite? Pulitevi la coscienza finché vi pare, tanto per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti.
Quelli che «ma cosa t'importa dei loro diritti, Lucy? Tu mica sei lesbica». Sai mai che non sia una malattia contagiosa...!
Tutti costoro, questi soggetti che mi rifiuto di definire persone, mi fanno vergognare di me stessa, perché di fronte alla loro miseria umana non riesco a non pensare per un attimo: ma vi ammazzaste voi, carogne, tutti quanti.

Non si può morire a quindici anni. Non si può morire così.

martedì 20 novembre 2012

Gentile presidente...


Gentile presidente dell'Uruguay,
ho letto con un soprassalto d'indignazione che dal 2009, anno in cui fu eletto presidente, lei devolve in beneficenza il 90% dello stipendio mensile di 12 000 $, perché – ha dichiarato – un politico dovrebbe vivere come la maggioranza dei propri concittadini.
Che imbarazzo, presidente. Che mancanza di decoro istituzionale. Ho tirato un sospiro di sollievo solo quando ho scoperto che aveva almeno l'auto blu. Ma si tratta di un Maggiolino tutto scassato, in effetti blu, che lei guida personalmente.
Non si vergogna di avere lasciato la residenza presidenziale di Montevideo agli sfrattati per trasferirsi nella casetta di campagna di sua moglie? E la smetta di accampare scuse, dicendo che «le cose più belle della vita sono avere degli amici, godere moderatamente del cibo e molto della natura».
Sono così arrabbiato con lei che avrei voglia di denunciarla per comportamento antipolitico al dottor Giuliano Amato. Anche lui ama molto la natura: quando era consigliere di Craxi lo chiamavano "l'uomo che sussurrava ai cinghiali". Però, a differenza sua, ha il coraggio di denunciare i problemi veri. «Un trentenne impossibilitato a ricandidarsi dopo due legislature, cioè a 40 anni, che cosa dovrebbe fare mentre aspetta di compiere i 65?» si è chiesto in un'intervista, interpretando l'ansia di un Paese intero per la sorte di quei negletti, qualora malauguratamente passasse il limite dei due mandati parlamentari.
Amato ha saggiamente proposto di garantire un'indennità agli onorevoli disoccupati. Cosa aspetta, presidente Pepe, a seguirne l'esempio? Ma soprattutto, visto che è di origini piemontesi, cosa aspetta a candidarsi alle prossime elezioni italiane nel collegio Sudamerica contro Scilipoti?
Le assicuro che io e alcuni miei amici – gli spettatori di Che tempo che fa – verremmo a votarla anche a nuoto. Buonasera.

Massimo Gramellini, Che tempo che fa del lunedì, 19/11/2012.

mercoledì 14 novembre 2012

Carpe diem, forse


Prendo spunto da un post di PiccolaStella (che potete leggere qui) sul rapporto con il tempo e ne approfitto per risponderle.

Quando si dice che siamo tutti un po' oraziani, non si va molto lontani dalla verità. Lo siamo in maniera parziale, però: impegnati come siamo a carpere diem, o almeno a provarci, dimentichiamo il resto dell'ode. La riporto per intero, insieme a una mia proposta di traduzione:

Tu ne quæsieris – scire nefas – quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati,
seu plures hiemes, seu tribuit Iuppiter ultimam,
quæ nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida
ætas: carpe diem, quam minimum credula postero.


Non chiederti – è peccato saperlo  qual fine a me, quale a te
gli dèi abbiano dato, Leuconoe, e non mettere alla prova
gli oroscopi di Babilonia. Assai meglio sopportare tutto ciò che sarà,
che molti inverni abbia concesso Giove, o che sia l'ultimo
questo che ora contro gli scogli fiacca il mare
Tirreno: sii saggia, mesci il vino, e nel breve tempo
recidi una lunga speranza. Mentre parliamo, già fugge il tempo
crudele: afferra l'attimo, non pensare affatto al domani.


Afferrare il presente vorrebbe dire liberarsi dalla schiavitù del domani, invece finiamo per fare esattamente il contrario. Nei secoli stiamo imparando a fruire dell'oggi, a godere del momento, ma nessuno ci ha ancora insegnato a mettere in pratica la rinuncia alla preoccupazione per il futuro. Forse riusciremmo a farlo soltanto se tenessimo a mente anche quanto dice Seneca nel de brevitate vitæ: «non abbiamo poco tempo, ma ne perdiamo molto».
La cultura romana sentiva in maniera molto urgente il problema del tempo a disposizione dell'uomo. Catullo ha appena vent'anni, è poco più che un ragazzo, quando scrive: «il sole può tramontare e rinascere; a noi, una volta che sia tramontata una breve luce, resta da dormire un'unica eterna notte». Ha potenzialmente tutta la vita davanti, eppure sente di non avere tempo. Come se in qualche modo presentisse che la morte arriverà per lui fin troppo presto.
Forse, se anche noi tenessimo a mente che tutto può finire in un istante, riusciremmo davvero a vivere l'oggi. Lasceremmo andare il passato e non ci preoccuperemmo del futuro. Avremmo qualche motivo in meno per avercela con il nostro prossimo, anche.

Sotto una piccola stella

Chiedo scusa al caso se lo chiamo necessità.
Chiedo scusa alla necessità se tuttavia mi sbaglio.
Non si arrabbi la felicità se la prendo per mia.
Mi perdonino i morti se ardono appena nella mia memoria.
Chiedo scusa al tempo per tutto il mondo che mi sfugge a ogni istante.
Chiedo scusa al vecchio amore se do la precedenza al nuovo.
Perdonatemi, guerre lontane, se porto fiori a casa.
Perdonatemi, ferite aperte, se mi pungo un dito.
Chiedo scusa a chi grida dagli abissi per il disco col minuetto.
Chiedo scusa alla gente nelle stazioni se dormo alle cinque del mattino.
Perdonami, speranza braccata, se a volte rido.
Perdonatemi, deserti, se non corro con un cucchiaio d'acqua.
E tu, falcone, da anni lo stesso, nella stessa gabbia,
immobile, con lo sguardo fisso sempre nello stesso punto,
assolvimi, anche se tu fossi un uccello impagliato.
Chiedo scusa all'albero abbattuto per le quattro gambe del tavolo.
Chiedo scusa alle grandi domande per le piccole risposte.
Verità, non prestarmi troppa attenzione.
Serietà, sii magnanima con me.
Sopporta, mistero dell'esistenza, se tiro via fili dal tuo strascico.
Non accusarmi, anima, se ti possiedo di rado.
Chiedo scusa al tutto se non posso essere ovunque.
Chiedo scusa a tutti se non so essere ognuno e ognuna.
So che finché vivo niente mi giustifica,
perché io stessa mi sono d'ostacolo.
Non avermene, lingua, se prendo in prestito parole patetiche,
e poi fatico per farle sembrare leggere.

Wislawa Szymborska, Sotto una piccola stella.

[tra le lingue che conosco non c'è il polacco, ma non ho trovato il nome dell'autore di questa traduzione... se qualcuno sa chi è, me lo faccia sapere]

domenica 11 novembre 2012

Tra il dire e il fare

Non so perché, ma mi è appena tornato in mente il particolare impiego che il verbo «farsi» ha nei dialetti dello Stretto. Non vuol dire «drogarsi», come sentivo dire nei film quand'ero piccola, e neppure si usa insieme a un nome di persona per indicare un commercio carnale, una conoscenza biblica, eccetera. Nulla di tutto questo: nel profondo Sud, «farsi» indica un cambiamento di stato.
Ad esempio: in Magna Grecia, «i miei figli si sono fatti Wind» vale «sono passati a Wind» (marca a caso, non pubblicizzo un bel niente, anche perché nessuno mi paga per farlo).
Il caso più tipico è «si sono fatti fidanzati», laddove in italiano standard si direbbe semplicemente «si sono fidanzati». Per la verità, l'espressione nasce dalla traduzione letterale di «si fìciaru ziti»; il problema è che «ziti» è solo sostantivo, mentre «fidanzati» è anche participio passato.
L'esempio più bello, però, è del siciliano. Non serve aver letto l'opera omnia di Camilleri per imbattersi nella forma «mi sono fatto persuaso». E si può essere puristi della lingua finché si vuole, ma nessuno mi venga a dire che «mi sono convinto» ha la medesima pregnanza. Se ti sei convinto, fai vedere la cosa come ormai conclusa, una volta per tutte; se ti sei fatto persuaso, fai vedere piuttosto che ora hai una certa idea ma prima non l'avevi, o che non ne eri del tutto convinto... insomma, che hai fatto lo sforzo di rifletterci. Che ci hai pensato.
E sarà anche una sottigliezza, ma scusate se è poco.

Parole di altri


Il bello della scrittura è che mette in comunicazione persone che altrimenti non si conoscerebbero mai. Una forma di globalizzazione esiste già da sempre, ed è quella che unisce esperienze, condizioni e epoche diversissime. Quello che io penso è quello che altri hanno detto, scritto, cantato o recitato prima di me. Quello che io dirò o scriverò sarà fatto proprio da altri che verranno dopo, e così via... è il lasciapassare per l'immortalità, in un certo senso. E anche un modo per essere un po' meno soli al mondo. Per questo ho un rispetto profondo per le parole degli altri. Le ascolto, le seziono, le ricompongo, alcune le faccio mie. In ogni caso, le medito. Attaccherei a un muro i patiti degli aforismi della domenica, quelli che tirano giù dal web citazioni di opere che non hanno mai sentito neppure nominare solo per fare gli intellettualoidi e darsi un tono. Che bisogno hai? Piuttosto di' due cose soltanto, ma che siano state vissute, assorbite.
Tra le parole altrui che più mi hanno segnata non ci sono solo passi di libri, ma anche versi di canzoni (anche di cantanti che non mi piacciono, tipo Zampaglione), frasi tratte da film, battute fulminanti di professori del liceo che mi hanno fatto ridere o riflettere. Ne metto qui alcune, per onorarle.

«Io non gli espressi mai il mio amore a parole; ma se gli sguardi hanno un linguaggio, il più grande idiota avrebbe capito che avevo perso la testa».
Emily Brontë, Cime tempestose

«Non sentirti in colpa se non sai cosa vuoi fare della tua vita. Le persone più interessanti che conosco a ventidue anni non sapevano che fare della loro vita. I quarantenni più interessanti che conosco ancora non lo sanno».
The Big Kahuna

«Ho realizzato che il tempo è maledetto e si diverte a passare per vederci cambiare. Tu invece, mamma, resti uguale, anzi mi sembri anche più bella, sono sicuro che magari tra cent'anni volerai su una stella per brillare sulla Terra».
Tiromancino, Quasi quaranta

«Sarebbe bello una sera poterti riaccompagnare: accompagnarti per certi angoli del presente, che fortunatamente diventeranno curve nella memoria, quando domani ci accorgeremo che non ritorna mai più niente, ma finalmente accetteremo il fatto come una vittoria».
Francesco De Gregori, Viaggi e miraggi

«Timeo Danaos et dona ferentes».
(ovvero, la versione latina di «fidarsi è bene, non fidarsi è meglio»)
Publio Virgilio Marone, Eneide

«Non dire mai: di quest'acqua io non ne bevo. Potresti trovarti nella tinozza senza manco sapere come ci sei entrata».
Michela Murgia, Accabadora

«Chi te l'ha detto? Te l'ha detto il gatto?».
Professor B., seconda liceo classico

«L'uomo è il capo, ma la donna è il collo».
My big fat greek wedding

«Per altre vie, con le mani, le mie, cerco le tue, cerco noi due».
Pierangelo Bertoli, Spunta la luna dal monte

Tutta Saffo, tutto Omero, quasi tutto Marziale, molto di Esiodo e quel che resta di Petronio.

«Cos'è una storia non seria, si scopa ridendo?!».
Santa Maradona

«Venter plenus facile de ieiunio disputat».
(la versione tardoantica e monastica di «sono tutti sodomiti col deretano altrui»)
Sofronio Eusebio Gerolamo, epistola LVIII

«Rosa fresca aulentis[s]ima ch'apari inver' la state, le donne ti disiano, pulzell'e maritate: tràgemi d'este focora, se t'este a bolontate;  per te non ajo abento notte e dia, penzando pur di voi, madonna mia».
Cielo d'Alcamo, Rosa fresca aulentissima

«Ho lasciato la mancia al boia, sai quanto mi servisse un orologio Bulova se il tempo lo scandiva la mia tosse; tanto che poi in cambio ottenni acqua, e un sorriso che pensai fosse un rischio persino per lui».
Samuele Bersani, Occhiali rotti

«Entra e fatti un bagno caldo: c'è un accappatoio azzurro, fuori piove un mondo freddo».
Paolo Conte, Via con me

«Ragazzi, lo so che siete stanchi, è la sesta ora anche per me, ma insomma: sempre meglio che lavorare all'Italsider».
Professor P., terza liceo classico

«La cultura è come la marmellata sul pane: meno ne hai, più la spalmi».
Sempre lui

giovedì 8 novembre 2012

Marco Tullio e dintorni

«Se devo interpretare il senso spirituale delle sue parole, interpreterei "che palle!"».
Sive: come sopravvivere a un relatore intenzionato a demolire trecento pagine di tesi.

Per carità, in certe cose ha anche ragione, ad esempio quando dice che dovrei essere più stringata, mettere qualche punto fermo in più e qualche punto e virgola in meno. Il fatto è che chiedere a me di essere meno prolissa è come chiedere a Hannibal Lecter di diventare vegano.
Almeno, così pensavo fino a qualche ora fa. Navigando (e va bene, cazzeggiando) su Internet ho scovato una perla dedicata al padre spirituale di tutti i prolissi, al re dei periodi di venti righe con ventordicimila subordinate e un milione d'incidentali: Cicerone. Dapprima mi sono fatta una risata, poi sono inorridita nella consapevolezza di essere stata contagiata dalla stessa malattia: 


martedì 6 novembre 2012

Piazza Massaua

Non pensavo esistessero ancora vecchietti che, di fronte a due occhi neri e a una faccia non esattamente nordica, rispondono alle richieste d'informazioni con la frase «non sono di qui», con uno spiccato accento torinese. Peccato che il mio accento fosse ancor più marcatamente torinese del suo nel ribattere «grazie mille, molto gentile... lei non è di qui? E io sono Laura Antonelli, neh». 

lunedì 5 novembre 2012

Lista della spesa

E il formaggio no perché il colesterolo.
Pane pizza e biscotti no perché le farine raffinate e i glucidi.
La carne rossa non sia mai perché il cancro al colon e poi ci vuole tantissima acqua.
Le uova no perché il fegato.
Il pollo no perché l'allevamento in batteria.
Vino birra e alcolici in genere no perché praticamente sono suicidio.
Zucchero no perché il diabete e altre varie malattie.
Broccoli e cavolfiori sì ma attenzione, gonfiano.
La frutta sì ma occhio perché fermenta.
Le farine integrali no perché le bucce piene di sostanze.
Polenta e popcorn zero perché il mais è OGM.
I pomodori nichel a manetta.
Frutta o verdura non di stagione no perché ammazzi il pianeta.
Latte e latticini in genere no perché i grassi animali.
Ma cosa cacchio mangio?

domenica 4 novembre 2012

Una normale domenica sera

Lucy e la voglia di staccare la testa al fidanzato che perde l'ultimo treno e le dà clamorosamente buca.