domenica 11 novembre 2012

Tra il dire e il fare

Non so perché, ma mi è appena tornato in mente il particolare impiego che il verbo «farsi» ha nei dialetti dello Stretto. Non vuol dire «drogarsi», come sentivo dire nei film quand'ero piccola, e neppure si usa insieme a un nome di persona per indicare un commercio carnale, una conoscenza biblica, eccetera. Nulla di tutto questo: nel profondo Sud, «farsi» indica un cambiamento di stato.
Ad esempio: in Magna Grecia, «i miei figli si sono fatti Wind» vale «sono passati a Wind» (marca a caso, non pubblicizzo un bel niente, anche perché nessuno mi paga per farlo).
Il caso più tipico è «si sono fatti fidanzati», laddove in italiano standard si direbbe semplicemente «si sono fidanzati». Per la verità, l'espressione nasce dalla traduzione letterale di «si fìciaru ziti»; il problema è che «ziti» è solo sostantivo, mentre «fidanzati» è anche participio passato.
L'esempio più bello, però, è del siciliano. Non serve aver letto l'opera omnia di Camilleri per imbattersi nella forma «mi sono fatto persuaso». E si può essere puristi della lingua finché si vuole, ma nessuno mi venga a dire che «mi sono convinto» ha la medesima pregnanza. Se ti sei convinto, fai vedere la cosa come ormai conclusa, una volta per tutte; se ti sei fatto persuaso, fai vedere piuttosto che ora hai una certa idea ma prima non l'avevi, o che non ne eri del tutto convinto... insomma, che hai fatto lo sforzo di rifletterci. Che ci hai pensato.
E sarà anche una sottigliezza, ma scusate se è poco.

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