venerdì 22 febbraio 2013

Politicando (parte seconda)


In un clima di rabbia e malessere viene spontaneo cercare un colpevole, qualcuno da additare come somma causa di tutti i mali in cui versa il Paese. Dagli all'untore!

Ascoltando molte persone mi sono fatta una certa idea. Da una parte, il male assoluto sembrano essere quelli della vecchia guardia, gli anziani, quelli che hanno avuto un mondo ricco in cui costruirsi un avvenire (in cui partivi magari da zero, ma avevi la possibilità di giungere molto in alto) e ce ne stanno consegnando uno in cui già è tanto se riusciamo a fare piani per l'anno prossimo. Quelli che con uno straccio di licenza media ottenevano molto di più di quanto potremo mai conseguire noi con una o due lauree in tasca. Di norma, quelli che lo pensano sono gli stessi che non ricordano un assioma basilare: l'Italia è una repubblica basata sui nonni. Quegli stessi vecchi che detestano, non fanno loro poi così schifo quando sganciano banconote.

D'altro canto, sul banco degli imputati ci sono i trentenni e i quarantenni. Quelli che erano giovani nei primi anni '90, insomma. Soprattutto tra i più giovani, sento dire: «dov'eravate quando c'era da fermare questo scempio?».
Prima di cercare una risposta, che verosimilmente non troverò, voglio citare una lettera che Massimo Gramellini ha ospitato nella sua rubrica Buongiorno qualche giorno fa:

«Ho mandato in giro migliaia di curriculum per qualsiasi – credimi, qualsiasi – posto. […] Non sopporto più che mia figlia mi chieda dove lavoro senza che io possa darle una risposta. Non posso pensare che a quarant'anni io sia troppo vecchio per lavorare e che i vent'anni di lavoro che ho alle spalle non siano serviti a nulla. Non posso pensare che tutt'a un tratto io non sia più in grado di svolgere un mestiere dignitoso. Questo è il semplice sfogo – scritto male, ma col cuore pieno di lacrime – di un padre di famiglia che crede ancora nei valori di onestà e dignità nel lavoro».

C'è una scollatura, tra i quarantenni annebbiati da vent'anni di sub-cultura e quelli estromessi a forza dal mercato del lavoro, troppo vecchi per rientrarvi e troppo giovani per andare in pensione? I primi fanno rabbia, i secondi tristezza. Le due cose sono legate tra loro? Non lo so, sono troppo giovane per dirlo. Non è la prima volta che esercito il diritto di voto, ma per la prima volta mi trovo a farlo con la dovuta maturità, domandandomi che cosa è stato sbagliato e da dove la mia generazione dovrà cominciare a raccogliere i pezzi.

Ho parlato a molte persone nella fascia d'età compresa tra i trenta e i quarant'anni, per cercare di capire direttamente da loro che cosa ne pensano.
Grosso modo, l'opinione prevalente è questa: «è colpa dei nostri coetanei rincoglioniti che andavano alle feste, si compravano le scarpe della Nike e altri status symbol per mimetizzarsi e pensavano a fare i fighi invece di venire ai dibattiti, alle manifestazioni, e mai una volta che votassero per i rappresentanti sindacali o dell'università... quando c'era da cambiare le cose, siamo stati lasciati soli». Sempre colpa di altri. Basta cambiare i tempi verbali, sostituire alle Nike le Converse e l'iPhone, e troviamo esattamente quello che dicono i miei coetanei impegnati oggi nelle sezioni di partito.
I giovani che si conformano alla massa sono tanti, indubbiamente. Altrettanti quelli che, con rispetto parlando, se ne strafottono. Ma ho l'impressione che il problema, così, sia affrontato in modo semplicistico. Anch'io (nel mio piccolo, e qualche anno dopo i quarantenni di oggi) sono andata alle manifestazioni, ho votato rappresentanti d'istituto e di facoltà, ho avuto amici nelle sezioni di partito e ho frequentato, sia pure da esterna, quell'ambiente. Le persone che lo popolano sono state lasciate progressivamente sempre più sole. Una parte della spiegazione di questo è il conclamato stato catatonico dell'italiota medio che si compra gli accessori alla moda e si crede un gran figo, ma in fin dei conti non capisce un belin. Ma c'è un'altra spiegazione, su cui di solito si glissa elegantemente, forse perché è troppo doloroso ammetterla, o forse perché non se ne è coscienti.
Il fatto è che ai giovincelli impegnati fin da quando erano all'asilo... star soli piace. Ci si sente parte di qualcosa di elitario, ci si sente migliori. Un conformismo anche quello, se si vuole. Ci si sbatte, si ragiona, si discute, poi si va a farsi una birra e una sigaretta al pub alternativo e si dicono quattro banalità contro il sistema, contro B., contro il Papa, contro i coetanei beceri e inferiori (quest'ultimo aggettivo non si dice, ma lo si pensa). Questi giovani di belle speranze fanno gruppo a sé, snobbando senza pietà un sacco di persone intelligenti, piene di buona volontà, ma che compiono l'imperdonabile errore di voler restare un po' esterni rispetto alla logica delle giovanili di partito. Esistono persone di serie A e persone di serie B. Diventa un sistema chiuso, arrivano addirittura a fidanzarsi tra di loro... salvo poi lamentarsi di essere in pochi. Ogni tanto, però, anche loro si svegliano e si ricordano di te: segnatamente, quando devi fare numero a qualche manifestazione in cui è opportuno non fare la figura dei quattro gatti.
Sfido chiunque a dirmi che sto esagerando. Ho vissuto questa realtà ovunque io sia stata, in città e in provincia, a nord e a sud dello Stivale, e la mia esperienza è tristemente simile a quelle di molte persone diverse per età, condizione sociale, provenienza geografica, appartenenza politica. E sbaglia chi pretende di liquidarle come le classiche istanze di chi non si impegna e cerca di giustificarsi. Esistono persone, e mi ci metto in mezzo, che non vanno alle feste a sfondarsi di alcol e pasticche, non hanno l'iPhone per scelta e non indossano scarpe alla moda. Leggono, studiano e riflettono. Altro che chiacchiere.
In estrema sintesi, i vittimismi in stile «dov'erano i giovani italiani mentre io, Tizio e Caio facevamo il presidio» hanno senso fino a un certo punto. Oltre, si deve ammettere: «una certa percentuale di gente l'abbiamo fatta allontanare noi». Se snobbi, giudichi, isoli, stigmatizzi in nome di non si sa bene quale superiorità e ti ricordi degli altri soltanto quando si deve fare numero, è ovvio che resterai da solo.

La cosa grave è che questo discorso, ai giovani impegnati di oggi e a quelli di ieri, non entra proprio in testa. Non riescono ad accettarlo. Ed è un peccato, perché basterebbe poco a capire che il mondo non è o bianco o nero. Sarebbe un primo passo per provare a cambiare qualcosa.

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