In un clima di rabbia e malessere viene
spontaneo cercare un colpevole, qualcuno da additare come somma causa
di tutti i mali in cui versa il Paese. Dagli all'untore!
Ascoltando molte persone mi sono fatta una certa idea. Da una parte,
il male assoluto sembrano essere quelli della vecchia guardia, gli
anziani, quelli che hanno avuto un mondo ricco in cui costruirsi un
avvenire (in cui partivi magari da zero, ma avevi la possibilità di
giungere molto in alto) e ce ne stanno consegnando uno in cui già è
tanto se riusciamo a fare piani per l'anno prossimo. Quelli che con
uno straccio di licenza media ottenevano molto di più di quanto
potremo mai conseguire noi con una o due lauree in tasca. Di norma,
quelli che lo pensano sono gli stessi che non ricordano un assioma
basilare: l'Italia è una repubblica basata sui nonni. Quegli stessi
vecchi che detestano, non fanno loro poi così schifo quando
sganciano banconote.
D'altro canto,
sul banco degli imputati ci sono i trentenni e i quarantenni. Quelli
che erano giovani nei primi anni '90, insomma. Soprattutto tra i più
giovani, sento dire: «dov'eravate quando c'era da fermare questo
scempio?».
Prima di cercare
una risposta, che verosimilmente non troverò, voglio citare una lettera che Massimo Gramellini ha
ospitato nella sua rubrica Buongiorno qualche giorno fa:
«Ho mandato in
giro migliaia di curriculum per qualsiasi – credimi, qualsiasi –
posto. […] Non sopporto più che mia figlia mi chieda dove lavoro
senza che io possa darle una risposta. Non posso pensare che a
quarant'anni io sia troppo vecchio per lavorare e che i vent'anni di
lavoro che ho alle spalle non siano serviti a nulla. Non posso
pensare che tutt'a un tratto io non sia più in grado di svolgere un
mestiere dignitoso. Questo è il semplice sfogo – scritto male, ma
col cuore pieno di lacrime – di un padre di famiglia che crede
ancora nei valori di onestà e dignità nel lavoro».
C'è una
scollatura, tra i quarantenni annebbiati da vent'anni di sub-cultura e quelli estromessi a forza dal mercato del lavoro,
troppo vecchi per rientrarvi e troppo giovani per andare in pensione?
I primi fanno rabbia, i secondi tristezza. Le due cose sono legate
tra loro? Non lo so, sono troppo giovane per dirlo. Non è la prima
volta che esercito il diritto di voto, ma per la prima volta mi trovo
a farlo con la dovuta maturità, domandandomi che cosa è stato
sbagliato e da dove la mia generazione dovrà cominciare a
raccogliere i pezzi.
Ho parlato a molte persone nella fascia d'età compresa tra i trenta e i
quarant'anni, per cercare di capire direttamente da loro che cosa ne
pensano.
Grosso modo, l'opinione prevalente è questa: «è
colpa dei nostri coetanei rincoglioniti che andavano alle feste, si
compravano le scarpe della Nike e altri status symbol per
mimetizzarsi e pensavano a fare i fighi invece di venire ai
dibattiti, alle manifestazioni, e mai una volta che votassero per i
rappresentanti sindacali o dell'università... quando c'era da
cambiare le cose, siamo stati lasciati soli». Sempre colpa di altri. Basta cambiare i tempi
verbali, sostituire alle Nike le Converse e l'iPhone, e troviamo
esattamente quello che dicono i miei coetanei impegnati oggi nelle sezioni
di partito.
I giovani che si
conformano alla massa sono tanti, indubbiamente. Altrettanti quelli
che, con rispetto parlando, se ne strafottono. Ma ho l'impressione
che il problema, così, sia affrontato in modo semplicistico. Anch'io
(nel mio piccolo, e qualche anno dopo i quarantenni di oggi) sono
andata alle manifestazioni, ho votato rappresentanti d'istituto e di
facoltà, ho avuto amici nelle sezioni di partito e ho frequentato,
sia pure da esterna, quell'ambiente. Le persone che lo popolano sono
state lasciate progressivamente sempre più sole. Una parte della
spiegazione di questo è il conclamato stato catatonico dell'italiota
medio che si compra gli accessori alla moda e si crede un gran figo,
ma in fin dei conti non capisce un belin. Ma c'è un'altra
spiegazione, su cui di solito si glissa elegantemente, forse perché
è troppo doloroso ammetterla, o forse perché non se ne è
coscienti.
Il fatto è che
ai giovincelli impegnati fin da quando erano all'asilo... star soli
piace. Ci si sente parte di qualcosa di elitario, ci si sente
migliori. Un conformismo anche quello, se si vuole. Ci si sbatte, si
ragiona, si discute, poi si va a farsi una birra e una sigaretta al
pub alternativo e si dicono quattro banalità contro il sistema,
contro B., contro il Papa, contro i coetanei beceri e inferiori
(quest'ultimo aggettivo non si dice, ma lo si pensa). Questi giovani
di belle speranze fanno gruppo a sé, snobbando senza pietà un sacco
di persone intelligenti, piene di buona volontà, ma che compiono
l'imperdonabile errore di voler restare un po' esterni rispetto alla
logica delle giovanili di partito. Esistono persone di serie A e
persone di serie B. Diventa un sistema chiuso, arrivano addirittura a
fidanzarsi tra di loro... salvo poi lamentarsi di essere in pochi.
Ogni tanto, però, anche loro si svegliano e si ricordano di te:
segnatamente, quando devi fare numero a qualche manifestazione in cui
è opportuno non fare la figura dei quattro gatti.
Sfido chiunque a
dirmi che sto esagerando. Ho vissuto questa realtà ovunque io sia
stata, in città e in provincia, a nord e a sud dello Stivale, e la
mia esperienza è tristemente simile a quelle di molte persone
diverse per età, condizione sociale, provenienza geografica,
appartenenza politica. E sbaglia chi pretende di liquidarle come le
classiche istanze di chi non si impegna e cerca di giustificarsi. Esistono persone, e mi ci metto in mezzo, che non
vanno alle feste a sfondarsi di alcol e pasticche, non hanno l'iPhone per scelta e non indossano scarpe alla moda. Leggono, studiano e riflettono.
Altro che chiacchiere.
In estrema
sintesi, i vittimismi in stile «dov'erano i giovani italiani mentre io, Tizio e Caio facevamo il presidio»
hanno senso fino a un certo punto. Oltre, si deve ammettere: «una certa percentuale di gente l'abbiamo fatta allontanare noi». Se snobbi,
giudichi, isoli, stigmatizzi in nome di non si sa bene quale
superiorità e ti ricordi degli altri soltanto quando si deve fare numero, è ovvio che resterai da solo.
La cosa grave è
che questo discorso, ai giovani impegnati di oggi e a quelli di ieri,
non entra proprio in testa. Non riescono ad accettarlo. Ed è un peccato, perché basterebbe poco a capire che il mondo non è o bianco o nero. Sarebbe un primo passo per provare a cambiare qualcosa.
Nessun commento:
Posta un commento