Tra una minchiata e l'altra, non posso più rimandare un momento-serietà.
Mi unisco anch'io al coro di chi il ministro Fornero ha apostrofato come «choosy», americanismo attestato dalla seconda metà dell'Ottocento, che si può tradurre all'incirca come «schizzinoso»; Dictionary.com specifica: «hard to please, particular; fastidious, especially in making a selection». Il ministro, in poche parole, ha detto: ragazzi, nella scelta del lavoro non dovete essere choosy. Una volta si sarebbe detto «avere la puzza sotto il naso», «fare i preziosi» o cose del genere.
Ora, va bene tutto, va bene il rispetto che si deve portare alle persone anziane (così, almeno, ci hanno insegnato i nostri genitori), ma qui si sta un filino esagerando. A furia di bofonchiare, negli anni '80 e '90, che c'erano «lavori che i giovani italiani non vogliono più fare», si sono convinti che la stessa cosa valesse negli anni Zero e valga negli anni Dieci. Una parte di me vorrebbe sperare che il ministro non abbia preteso di fare un discorso generale, bensì relativo a una minoranza di fanciullini viziati di cui non si può, né si vuole, negare l'esistenza; e la signora ha provato a correggere il tiro in tal senso, dicendo «i giovani italiani oggi sono disposti a prendere qualunque lavoro, tanto è vero che sono in condizioni di precarietà... non sono nelle condizioni di essere schizzinosi». Sarà... ma dopo anni in cui chi avrebbe dovuto rappresentarci tirava il sasso e nascondeva la mano, se ne usciva con battute sconcertanti e poi si trincerava dietro un «sono stato frainteso», una persona che non ha neppure l'alibi dell'elezione e della rappresentatività può permettersi ancor meno un errore del genere.
Choosy, dicevamo. Probabilmente è solo che il ministro ha a che fare con ambienti privilegiati, con figli-dei-figli e amici-degli-amici che possono permettersi una certa selettività. Forse è soltanto slegata dal Paese reale, un po' come nella vecchia battuta s'ils n'ont plus de pain, qu'ils mangent de la brioche. Nel mio piccolo, avrò allora la presunzione di cercare di aiutarla a capire qualcosa di più, di questo Paese e dei suoi sventurati abitanti.
C'è la mia amica C., laureanda in Medievistica: ha il sogno di fare la scrittrice e ha già vinto vari concorsi e premi letterari, ma non disdegnerebbe neppure d'insegnare; nel frattempo, per non pesare su mamma e papà, lavora in un pub dalle sei di sera alle quattro del mattino, venti notti al mese, per cinque euro all'ora. Sarà choosy?
C'è il mio amico L., che studia Informatica: ha fatto mille lavori, dal rappresentante porta a porta al tuttofare in una galleria d'arte; adesso, per non rinunciare al sogno di andare a vivere con la sua donna, passa le sue mattinate in un call center per poche centinaia di euro al mese. Anche lui, è choosy?
Ci sono io, Lucy, specializzanda in Filologia Classica col massimo dei voti. La mia università, per i miei genitori, è stata a costo zero. Mi mantengo da sola da quando avevo diciotto anni, ho preso tutte le borse di studio per merito possibili e immaginabili, ho fatto la babysitter, ho insegnato inglese e francese per due lire. L'estate scorsa avevo trovato uno stage di tre mesi in una filiale Ina Assitalia: per 45 ore alla settimana mi hanno proposto 100 euro mensili. Cento. Non mi ci sarei pagata neanche i trasporti. E scusate tanto, ma allora continuo a dare lezioni private di greco, latino, letteratura, lingue straniere, storia, chimica e fisica: per quattro soldi, certo, ché se anche abbassi le tariffe all'osso c'è sempre qualcuno più disperato di te che chiede ancora meno (e per una questione di equità, altrimenti in tempi di crisi un affiancamento all'insegnamento scolastico se lo possono permettere solo i ricchi), ma almeno con quei quattro soldi riesco a pagarmi un posto in una camera doppia e a vivere senza chiedere nulla ai miei. Il mio sogno è aprire una scuola, di questo passo non lo realizzerò nemmeno tra tre vite.
Il posto fisso è monotono? Se è per questo, anche il contratto a tempo determinato sta diventando pura fantascienza. Assumere costa troppo, dicono. Ferie, malattie, permessi, riposi? Che cosa sono? Qui vige un molto più pratico «chi non lavora, non mangia». Per ora va così. Si sopravvive. Certo è, però, che soldi da parte non ce ne mettiamo. Chissà come faremo quando avremo l'ardire, l'incoscienza e l'egoismo di volerci creare una famiglia tutta nostra. Non lo faremo, semplice, oppure ce ne andremo all'estero beccandoci gli insulti di chi ci darà degli ingrati verso la madrepatria (o terra matrigna?) e tenendoci il senso di colpa per aver abbandonato il nostro Paese.
Per questi motivi, le parole del ministro danno la sgradevole impressione di una battuta infelice nella migliore delle ipotesi, di un'umiliante beffa nella peggiore. Quando ho letto le sue esternazioni, il mio primo pensiero è stato in dialetto romanesco: non c'è lingua al mondo che dia più soddisfazione nell'esprimere il proprio sdegno, la propria ira, il proprio disappunto. E allora lasciatemelo dire: ah sora Fornè, choosy ce sarai te e tutta la palazzina tua.