giovedì 20 giugno 2013

Di Quintiliano e di Omero (ma anche di Seneca, e di maturità passate e presenti)

Maturità 2013: alla fine è uscito Quintiliano.
(Detto tra noi, ma quant'è brutto? E dai, Marco Fabio, sorridi!)


L'anno in cui diedi l'esame di maturità mi capitò Seneca. Speravo in Cicerone, mentre il professor CC (storico docente del liceo classico di Città Mesopotamia, che probabilmente fu costruito intorno a lui già nel lontano 1812) cercava di spaventarci con frasi come «secondo me uscirà Agostino». E chi l'aveva mai visto, Agostino? Giusto un'infarinatura quando avevamo affrontato la patristica, in filosofia. Non sapevamo cosa ci perdevamo. Ci capitò invece Seneca, il maledetto. 
Andò più o meno così. Frase uno: dai, è solo una riga, questa è facile, ce la si fa. Frase due: non un punto fermo fino alla fine della versione. Ohccazzo. Mi guardo intorno con circospezione: i miei compagni che si tengono la testa tra le mani. Mi armo di pazienza e di bustine di miele, testa bassa, inizio a tradurre. La sfango sbagliando solo una parola. Uno stupido quid.

Devo dire che quest'anno è andata meglio. Dopo l'Aristotele assurdo dell'anno scorso, d'altronde, era difficile fare di peggio. Come ogni anno, mi sono cimentata anch'io con la versione della maturità, giusto per non perdere lo smalto e vedere se sono ancora in grado.
Di seguito una mia ipotesi di traduzione e il testo della prova.

«Ma adesso affronto i generi letterari stessi che, a mio avviso, si addicono maggiormente a coloro che intendano diventare oratori. Dunque, come Arato ritiene che si debba iniziare da Giove, ugualmente ci sembra opportuno e legittimo cominciare da Omero.
Questi infatti, proprio come dice che dall'Oceano abbia inizio il corso stesso di fiumi e sorgenti, ha dato un modello e un impulso a tutte le parti dell'eloquenza. Lui, nessuno potrebbe superarlo quanto a sublimità negli argomenti elevati e a proprietà in quelli minori. Sempre lui è fecondo e essenziale, gradevole e grave, mirabile talvolta per la ricchezza, talaltra per la concisione, straordinario non solo per capacità poetica ma anche per valenza oratoria.
Del resto, per tacere delle lodi, delle parenesi e delle consolazioni, il nono libro, in cui è contenuta l'ambasceria ad Achille, o la contesa tra i capi nel primo libro, o i pensieri espressi nel secondo, non sviluppano tutte le tecniche dell'oratoria giudiziaria e deliberativa? Senz'altro, per quanto riguarda le emozioni, che siano miti o concitate, nessuno sarà tanto ignorante da dire che questo autore non le padroneggiasse perfettamente.
Suvvia: non è forse vero che all'inizio di entrambi i poemi, in pochissimi versi, la legge dei proemi è stata da lui non dico rispettata, ma costituita? In buona sostanza, egli rende l'ascoltatore contemporaneamente benevolo con l'invocazione alle Dee ritenute patrone dei vati, interessato con la grandezza degli argomenti che gli mette davanti e ben disposto a seguirlo con una rapida sintesi degli avvenimenti. E in verità chi può narrare con più concisione che il messaggero della morte di Patroclo, o in maniera più significativa di colui che racconta la battaglia tra Cureti e Etoli?».

Sed nunc genera ipsa lectionum, quæ præcipue convenire in tendentibus ut oratores fiant existimem, persequor. Igitur, ut Aratus ab Iove incipiendum putat, ita nos rite coepturi ab Homero videmur. Hic enim, quem ad modum ex Oceano dicit ipse amnium fontiumque cursus initium capere, omnibus eloquentiæ partibus exemplum et ortum dedit. Hunc nemo in magnis rebus sublimitate, in parvis proprietate superaverit. Idem lætus ac pressus, iucundus et gravis, tum copia tum brevitate mirabilis, nec poetica modo sed oratoria virtute eminentissimus. Nam ut de laudibus exhortationibus consolationibus taceam, nonne vel nonus liber, quo missa ad Achillem legatio continetur, vel in primo inter duces illa contentio vel dictæ in secundo sententiæ omnis litium atque consiliorum explicant artes? Adfectus quidem vel illos mites vel hos concitatos nemo erit tam indoctus qui non in sua potestate hunc auctorem habuisse fateatur. Age vero, non utriusque operis ingressu in paucissimis versibus legem prohoemiorum non dico servavit sed constituit? Nam et benivolum auditorem invocatione dearum quas præsidere vatibus creditum est et intentum proposita rerum magnitudine et docilem summa celeriter comprensa facit. Narrare vero quis brevius quam qui mortem nuntiat Patrocli, quis significantius potest quam qui Curetum Ætolorumque proelium exponit?
(Quint. Inst. or. 10, 1, 45-49)

lunedì 10 giugno 2013

Pezzi di universo

Sei lì che cerchi di raccogliere i cocci di una settimana da dimenticare e a un certo punto, mentre torni a casa, un pagliaccio ti sorride dolcemente, ti porge una tessera di puzzle blu e oro e ti dice: «Ti regalo un pezzetto dell'universo...».

E ti viene quasi voglia di credere che ognuno di noi, senza nemmeno saperlo, possa essere l'angelo custode di qualcun altro.




Postilla: mi dicono dalla regia che il pagliaccio in questione si chiama Folletto Graziano e gira spesso sui treni che da Augusta Taurinorum portano a Ventimiglia, passando per Città Mesopotamia. Ovunque tu sia in questo momento, Folletto Graziano, grazie.

In memoria di un bambino mai nato

Se tutto fosse andato secondo i piani, a metà agosto sarei diventata Zia Lucy.
La nostra strana famigliona, invece, dovrà aspettare ancora un po' per allargarsi. Lo sappiamo da febbraio, ma solo adesso trovo la forza per scriverne.

Razionalmente, mi dico che forse è meglio così, che la mia amica è troppo giovane per avere un bambino e che in questo momento fa un lavoro troppo pesante per godersi una gravidanza; che in fin dei conti conviene aspettare ancora un po', mettersi qualche soldino da parte e aspettare di avere qualcosa di più che un contratto di apprendistato (lei) e contratti a termine da rinnovare ogni tre mesi (lui).

Emotivamente, invece, mi dico: cazzate. Io per prima non avrei il coraggio di mettere al mondo un figlio adesso, e neanche tra un paio d'anni, e non sono neanche sicura di essere una di quelle donne che vogliono avere figli, però... però.

Che razza di nazione è quella in cui per fare figli devi ragionare in base al conto in banca e non in base ai tuoi desideri?

Che razza di società è quella in cui la pillola anticoncezionale diventa uno strumento sindacale?

giovedì 6 giugno 2013

Come si sente una donna

Traduco in italiano la versione spagnola dell'articolo "Como se sinte uma mulher", scritto dalla blogger brasiliana Claudia Regina per la rivista online, dedicata a un pubblico maschile, Papo de homem. L'articolo, pubblicato il 22 maggio 2013, in due giorni ha raggiunto 600.000 visualizzazioni e 3200 commenti, che hanno sovraccaricato il server su cui si trovava la pagina.
Lo stile è semplice, senza inutili fronzoli, diretto e preciso. Parole, taglienti come rasoiate, che centrano il punto e mettono nero su bianco quello che ogni donna ha sempre pensato e non ha mai saputo dire.
Da leggere e da far leggere, soprattutto agli uomini.


È successo ieri. Esco dall'aeroporto. In un percorso di dieci metri, vedo solo uomini. Tassisti fuori dalle macchine che parlano. Funzionari in maglietta: «Serve una mano?». Un uomo con la cravatta, la sua valigetta e il cellulare in mano. Uomini diversi, sparsi in questi dieci metri di cammino. Andando per questi dieci metri, mi sento come una gazzella che passeggia tra i leoni. Sono guardata da tutti. Misurata. Analizzata. Il mio corpo, i miei glutei, i miei seni, i miei capelli, le mie scarpe, la mia pancia. Tutti mi stanno guardando.


È successo quando avevo tredici anni. Praticavo uno sport tutti i giorni. Uscivo dalla palestra e camminavo per circa due isolati fino alla fermata dell'autobus alle sei di sera. Camminavo sul marciapiede quasi vuoto di una grande strada. Di queste camminate mi ricordo due momenti memorabili di questa violenza urbana. Macchine che rallentavano quando si avvicinavano, e dentro si sentiva una voce maschile: «Sei bella!». Uomini soli che passavano lungo il marciapiede, si guardavano indietro e dicevano: «Che delizia». Io avevo tredici anni. Portavo pantaloni lunghi, scarpe da ginnastica e maglietta.

Adesso moltiplica questo per tutti i giorni della mia vita. So che per gli uomini è difficile capire come questa possa essere violenza. Noi stesse, donne, ci abituiamo e lasciamo che sia così. Ci abituiamo per poter vivere la vita di tutti i giorni.

Uno di questi giorni stavo seduta in spiaggia guardando il mare dal quale usciva una giovane. È passata vicino a un tipo che le ha detto qualcosa. Lei si è allontanata ed è venuta camminando verso di me. Le ho detto: «Buonasera», lei ha detto che l'acqua era deliziosa e abbiamo parlato un po'. Le ho chiesto se il tipo le avesse detto qualche stupidaggine. Le mi ha detto: «Sì, ma siamo talmente abituate, vero? Queste cose le ignoriamo automaticamente».

Il privilegio è invisibile. Per un uomo è possibile riconoscere il privilegio solo se c'è empatia. Prova a immaginare un mondo dove, per cinquemila anni, tutti gli uomini fossero stati sottomessi, violentati, assassinati, limitati, controllati. Prova a immaginare un mondo dove per cinquemila anni solo le donne fossero scienziate, fisiche, capi della polizia, matematiche, astronaute, mediche, avvocate, attrici, generali. Prova a immaginare un mondo dove per cinquemila anni nessun rappresentante del tuo genere si sia distinto nel teatro, nell'arte, nel cinema, in televisione. A scuola apprenderesti la storia fatta dalle donne, la scienza fatta dalle donne, il mondo fatto dalle donne.


Nella sua opera "Una stanza tutta per sé" Virginia Woolf descrive il motivo per cui sarebbe stato impossibile per una ipotetica sorella di Shakespeare scrivere come lui. Woolf dice:

Quando leggiamo di una strega bruciata, di una donna posseduta dal demonio, una saggia donna che vende erbe […] credo che stiamo vedendo una scrittrice persa, una poetessa annullata.

Dall'inizio del patriarcato, da cinquemila anni, le donne non hanno avuto sufficiente libertà per essere scienziate o artiste. Woolf spiega:

La libertà intellettuale dipende da cose materiali. […] E le donne sono sempre state povere, non solo per duecento anni ma dall'inizio dei tempi.


Sebbene il mondo stia cambiando, esistono ancora minori opportunità e riconoscimenti per cui le donne e le minoranze esercitino qualsiasi occupazione intellettuale. I lettori di una pagina Facebook sulla scienza ancora suppongono che il suo autore sia un uomo e commentatori televisivi non considerano le manifestazioni culturali che vengono dalle favelas come vera cultura.

È vero: oggi la vita è migliore, soprattutto per una donna occidentale come me. Però, sebbene sia una donna libera e di successo, che vive in una metropoli culturale, ancora sento sulla pelle le conseguenze di questi cinquemila anni di oppressione. E se tu volessi vedere questa oppressione non avresti bisogno di andare sui libri di storia. Devi solo accendere la televisione.

Rio de Janeiro, 2013. Una coppia viene sequestrata in un furgone. Le sequestratrici si sono messe uno strap-on sporco che puzzava di merda e di muffa, e hanno violentato il ragazzo. Tutte loro, una per una, mettevano quel dildo enorme nel culo del giovane, senza preservativo né lubrificante. La fidanzata, poverina, ha cercato di fare qualcosa, però l'hanno legata e l'hanno presa a pugni e calci.

Al leggere la notizia, ti immedesimi nella vittima (che ha sofferto una delle peggiori violenze fisiche e psicologiche esistenti) o in chi guarda? Naturalmente i generi sono scambiati, la violenza reale è accaduta alla donna.

Quante violenze subisco solo perché sono una donna?


Durante l'infanzia non mi hanno lasciata essere scout perché non era una cosa da bambine. Mi hanno violentata a otto anni (io e almeno due terzi delle donne che conosci tu hanno subito una violenza di questo tipo e probabilmente non l'hanno raccontato a nessuno). Ho sofferto durante tutta l'adolescenza perché non mi comportavo in maniera femminile. Perché non avevo seni. Perché non avevo capelli lunghi e lisci. Da sempre la mia sessualità è stata repressa dalla famiglia, dalla società e dai media. Qualsiasi cosa facessi male mi costava l'accusa di essere una sfaticata.

In uno dei miei primi impieghi ho sentito dire che le donne non lavorano tanto bene perché sono molto emotive e soffrono di sindrome premestruale. In un altro lavoro il mio capo mi ha detto che avevo dei capelli brutti e mi ha pagato un parrucchiere perché me li facessi lisciare, per essere più presentabile per i clienti. Ho deciso di non essere schiava della depilazione e vengo guardata con schifo quando mi metto i pantaloncini o le magliette smanicate. Ho usato molto trucco solo perché la televisione e la pubblicità fanno vedere donne truccate, e per questo è molto facile sentirsi brutte con il viso pulito. Tu, uomo, sai cos'è il trucco? C'è un prodotto per rendere la pelle omogenea, uno per nascondere le occhiaie, un altro per nascondere le macchie, uno per colorare le guance, uno per esaltare le sopracciglia, un altro per le ciglia, un altro per colorare le palpebre, un altro per colorare le labbra. Quante volte ti sei messo così tanta roba in faccia solo perché il tuo capo, o una persona al primo appuntamento, ti avrebbe visto brutto con la faccia pulita?

Quando sono in metropolitana mi posiziono in un luogo sicuro perché nessuno mi si strusci contro. Tu lo fai? Quando vado a riunioni familiari mi chiedono perché sono così magra, che cosa ho fatto con i capelli e se ho un fidanzato. A mio cugino chiedono cosa sta studiando e che lavoro fa. In televisione il 90% delle pubblicitá mi denigrano. Quasi nessun film mi rappresenta o passa il Test di Bechdel. Tutte le donne sono mostrate con vestiti sexy, perfino le eroine che si suppone dovrebbero usare vestiti comodi per le battaglie. Le riviste mi insegnano che il mio obiettivo a letto è piacere a un uomo.

Mentre tu, uomo, comparavi il tuo pene con quello dei tuoi amici, a me, donna, insegnavano che masturbarsi è una cosa molto brutta e che se portavo minigonne non meritavo rispetto. Quanto tempo ho tardato a liberarmi della repressione sessuale e a convertirmi in una donna a cui piace scopare? Quanto tempo ho tardato per liberarmi a letto e per venire, mentre alcune delle mie compagne continuano a preoccuparsi se il loro partner vede la cellulite o il rotolo di ciccia e per questo non arrivano all'orgasmo? Quanto tempo ho tardato ad avere il coraggio di guardare un cazzo senza scopare a luce spenta? Quante volte ho ascoltato, mentre guidavo, un «ecco vedi, naturalmente era una donna»? Quante volte hai tagliato la strada a qualcuno e hai ascoltato un «ecco vedi, proprio un uomo»? Tutto questo per, a fine giornata, andare a cena in un ristorante e non ricevere il conto quando lo chiedo, perché da cinquemila anni sono considerata incapace. E tutto questo, cazzo!, per sentirmi dire che sto esagerando, che il maschilismo non esiste più.

Questo è un riassunto di quello che soffro o corro il rischio di soffrire tutti i giorni. Io, donna bianca, eterosessuale, di classe media. La donna nera soffre più di me. La donna povera soffre più di me. La donna orientale soffre più di me. Ma tutte soffriamo dello stesso male: nessun paese del mondo tratta le sue donne tanto bene come tratta i suoi uomini. Nessuno. Né Svezia, né Olanda, nemmeno l'Islanda! In tutto il mondo civilizzato soffriamo violenze e abbiamo meno accesso all’educazione, al lavoro o alla politica.

In tutto il mondo siamo ancora le sorelle di Shakespeare.
**
E tu, lettore uomo, quando ti abbordano in maniera ostile per la strada, pensi «per favore, non mi tolga il cellulare» o «per favore, non mi stupri»?


Tutte le fotografie sono autoritratti di Claudia Regina, che ringrazio per aver concepito uno dei testi, a mio avviso, più belli che siano mai stati scritti.

mercoledì 5 giugno 2013

Manualetto per direttori d'orchestra (parte seconda)

(segue)


11. Non pretendete di capire e conoscere i problemi dei colpi d'arco o di dettare le arcate di un brano, fate come fanno quelli seri: lasciate fare alle prime parti, fate solo richieste musicali semplici e comprensibili tipo «vorrei più legato o staccato, vorrei più piano o più forte, vorrei un attacco più morbido, vorrei che evitaste quell'accento non scritto o che evidenziaste quell'altro previsto» etc.; alle arcate o alle soluzioni tecniche ci pensano spalla e capofila.

12. Non cercate di vivacchiare solo con le battutine e le spiritosaggini usate tipo scudo umano o captatio benevolentiæ: il direttore d'orchestra non deve essere simpatico, deve fare quello che deve fare (dirigere), punto e basta. Cominciate con quello. Tutto il resto è opzionale.

13. Il «carisma innato» è la balla del secolo; direttori d'orchestra non si nasce, basta con queste stupide leggende: lo si diventa, e con durissimo studio e lavoro pari a quello di uno strumentista.

14. «Arturo Toscanini, uno dei più grandi direttori d'orchestra di tutti i tempi, era burbero, severissimo, e bistrattava gli orchestrali!». Vero, com'è vero che nessuno di voi è Toscanini.

15. Nell'Opera lirica le battute vuote si segnano tutte, anche se è una bella menata. Non fate movimenti inutili, gesti in più oppure omissioni, gli orchestrali sanno contare ma lo fanno con voi.

16. L'orchestra non è un juke-box, continuare a ripetere da capo non serve a nulla, e si capisce benissimo che lo state facendo per ripassarvi la partitura o semplicemente per autocompiacimento nel dirigere. Occorre saper dire con precisione cosa non va, e come si può rimediare: non esiste l'espressione generica «è stonato», bisogna saper dire chi cala o chi cresce; non esiste l'espressione generica «non è insieme», bisogna saper dire chi anticipa o chi ritarda.

17. Il labbro degli strumentisti a fiato è delicato, non si può pretendere che insegua oltre il lecito la vostra smania di provare un passo; guarda caso, spesso più si ripete e peggio viene.

18. Cominciate a provare un brano da capo, non fate capire prima ancora dell'inizio che siete o dei principianti o, peggio ancora, degli assoluti incompetenti.

19. L'Orchestra si fa alzare in piedi sempre, al momento degli applausi; specialmente nel sinfonico occorre far alzare o perlomeno indicare anche gli esecutori di eventuali "a solo" importanti. Si stringe la mano o alla sola spalla o agli archi della prima fila, e se il concertino dei primi è una signora o signorina si stringe la mano prima a lei e dopo alla spalla.

20. Non esiste il gesto «bello». Per favore, buttate via quello specchio che avete in camera e davanti al quale passate ore a rimirarvi mentre vi sbracciate magari già vestiti in frac. Nella direzione d'orchestra non esiste nessun gesto bello, elegante, magnetico o carismatico: esiste solo il gesto chiaro, quello che si capisce.
Il resto è ventilazione.

Manualetto per direttori d'orchestra (parte prima)


(adattato da un post che ho trovato geniale)

Venti consigli teorico-pratici per gli incapaci che si improvvisano direttori d'orchestra, utili al fine di una pacifica sopportazione da parte dei poveri fachiri orchestrali.

Premesso che la direzione d'orchestra comporta le tre seguenti regole ferree e irrefutabili:

A) Conoscenza il più possibile approfondita della partitura che si deve dirigere
B) Possesso di un'idea musicale chiara e definita da trasmettere agli esecutori
C) Essenzialità e inequivocabilità del gesto

e dando per scontato che non siate in grado di garantire i suddetti fondamentali, invito a seguire le seguenti istruzioni:

1. Il battere è in giù, il levare è in su; i tempi deboli solitamente si segnano con movimenti laterali del braccio; evitate di indicare con la bacchetta o con gesti vari gli esecutori, o di dare attacchi con lo sguardo o facendo «sì» velocemente con la testa; ricordatevi che meno vi muovete, meno danni fate.

2. Nella preparazione del gesto ci sono già il tempo e la dinamica (e coi maestri seri anche il colore), se fate un movimento da parcheggiatore aeroportuale non potete aspettarvi che un'orchestra attacchi piano, e se fate scatti da centometrista aspettatevi che parta in "prestissimo con fuoco" anche di fronte ad un "largo e mesto".

3. Non usate mai espressioni come «...facciamo dal vostro trrrrr», «...partiamo dove i bassi hanno quel zum zum» «...dopo il bum del timpano tutti fermi» etc..; usate riferimenti professionali come l'ordine alfanumerico delle battute o il nome delle note.

4. Non fate lezione di storia della musica, non spiegate agli orchestrali la vita di Beethoven, Mozart o Bach, nemmeno steste illustrando le meraviglie di uno specchietto colorato ai selvaggi di un'isola remota; ammesso e non concesso che ci sia qualcuno che non sappia già da diecimila anni quello che state raccontando, ricordatevi: l'orchestrale di solito vuole solo suonare sicuro di arrivare in fondo al brano che esegue con tranquillità, di tutto il resto non gliene frega un c...

5. Evitate espressioni astruse: «voglio un suono smerigliato», «sussurrate come perle che rotolano in un secchio d'argento», «datemi un colore felpato», «lusingando ma con fermezza», etc.: gli orchestrali sono persone molto suscettibili, soprattutto alle dieci del mattino.

6. Se un esecutore sbaglia una o più note è colpa sua.
Se un esecutore stona una o più note è colpa sua.
Se un esecutore va per aria forse è colpa sua, forse è colpa vostra.
Se una sezione va per aria forse è colpa del capofila, forse è colpa vostra.
Se due sezioni vanno per aria è colpa vostra.
Se un'orchestra intera va per aria è colpa vostra.
Se un'orchestra intera non vi segue è colpa vostra.
Se un'orchestra intera attacca un altro tempo è colpa vostra.
Se al decimo tentativo l'orchestra si assesta su un tempo differente dal vostro, ha ragione l'orchestra, e quindi è colpa vostra.

7. Se una orchestrale è in gonna corta e muove insistentemente le gambe accavallandole a più riprese, tranquilli, non sta cedendo al vostro fascino travolgente di grande maestro; probabilmente si veste così perché le va punto e basta, se ambite a una conquista evitate di fare i duri e/o gli splendidi durante la prova, scendete dal podio e approcciate in separata sede con naturalezza e gentilezza. Di solito funziona meglio così, anche se nulla è scontato.

8. Le pause nel lavoro esistono e si devono fare, non si «concedono». E servono anche a voi.

9. Nelle corone si sta fermi. Fermi!

10. La mano destra è per l'orchestra, quella sinistra serve ai cantanti, ad esempio per guidarli quando eseguono le cadenze in duo, terzetto quartetto ecc., oppure per dare un attacco al coro; se le muovete entrambe quando non serve, aspettatevi l'attacco a tradimento di due/tre sezioni dell'orchestra.

(continua)

lunedì 3 giugno 2013

Mi sono rotta il cazzo

Dei vicini del piano di sopra che sbattono dal balcone tovaglie tappeti scope vestiti bagnati non centrifugati e quando ti lamenti ti guardano male e vorrebbero ancora avere ragione.

Dei metrosexual che si fingono gay soltanto per avvicinarti e provarci con te anche se sanno che sei fidanzata.

Dei genitori che urlano con bambini indisciplinati che loro per primi non sono stati in grado di educare.

Delle ragazzine con l'iPhone d'ordinanza che non sanno nemmeno che nel nostro Paese siamo al 40% di disoccupazione giovanile, figuriamoci se sanno che cosa capita ai loro coetanei che in altri Paesi muoiono di troppo lavoro per produrre i componenti del loro telefonino del cazzo.

Di quelli che non trovano immorale spendere 700 € per un telefonino del cazzo.

Delle donne che sborsano 60 € per farsi le unghie e poi vanno in giro coi baffi.

Dei ricconi che si comprano il mega-appartamento sul Po e poi si lamentano del rumore ai Murazzi (avevi solo da pensarci prima, pirla).

Di quelli che vivono col timore di sembrare poveri, ostentano tutto ciò che hanno e poi mangiano pane e cipolla e piangono miseria coi parenti, sperando che questi ultimi scuciano qualcosa.

Di quelli che al volante sono convinti di avere sempre ragione perché loro guidano un macchinone e io una Panda del 1996 (prima di ridere della mia auto finite di pagare le rate della vostra).

Delle mamme ultraquarantenni platinate che vanno a prendere i figlioli alla scuola privata, parcheggiano rigorosamente sulle strisce perché fare due passi in più col tacco 12 è troppo faticoso, bloccano la strada e fanno le MILF zoccole col SUV pagato dal marito cornuto.

Di coloro che son tutti pederasti col deretano altrui.

Dei padri che appena gli porti a casa uno straccio di fidanzato ti vedono già sposata, accasata e con quattro figli e pretendono di avere voce in capitolo sul tuo utero.

Delle cugine che indossano uomini come abiti, si ammirano tanto da volersi portare al dito e ti guardano come una povera minorata perché loro-si-sposano-col-primo-mentecatto-che-ci-è-cascato-e-tu-no.

Di quelli che pensano che lo studio sia un comodo parcheggio per gente che non ha voglia di lavorare.

Di coloro che sono andati in pensione con sedici anni, sei mesi e un giorno di contributi previdenziali e si lamentano che «i giovani di oggi sono viziati e vogliono troppo».

Degli uomini che fanno l'amore sempre con lo stesso ritmo forsennato e si stupiscono se dopo un po' non senti più nulla (sai com'è, non è foderata di eternit e titanio, dopo un po' si stanca).

Di quelli che giurano di amarti alla follia ma non si impegnano perché la loro genitrice non è ancora pronta a vederli lasciare il nido...

... e anche di quelli che dopo tre nanosecondi ti presentano mamme, nonne, zie, amici d'infanzia, cani, gatti e canarini (ma che la virtù sta nel mezzo se lo sono dimenticati tutti?).

Della metropolitana di Torino che si blocca sempre dieci minuti prima che parta il mio treno, sempre a tre fermate dalla stazione FS.

Degli scioperi GTT che, guarda caso, cadono sempre di venerdì, tranne oggi che è lunedì e ieri era il 2 giugno, ma è solo una bizzarra coincidenza.

Dei compagni di università che passano gli esami copiando e riescono a prendere meno di quanto hai preso tu onestamente, ma se ne fregano perché tanto si laureano lo stesso e tra qualche mese proveranno comunque a soffiarti il posto al dottorato.

Dei farmacisti e dei gioiellieri che dichiarano di guadagnare meno dei loro dipendenti.

Dei figli dei suddetti farmacisti e gioiellieri che all'università soffiano le borse di studio ai figli dei dipendenti statali che dichiarano anche quante mutande hanno nel cassetto del comodino.

Dei primi ministri che provano a chiudere la stalla dopo che i buoi sono fuggiti e si scusano coi giovani costretti a lasciare il Paese.

Di «scusa», che in fin dei conti è solo una parola come un'altra e non cambia le cose.

Due giugno, the day after

(pubblicato sul quotidiano online targatocn.it)

Ho aspettato, per scrivere, che la Giornata della Repubblica (proprio non ce la faccio a chiamarla Festa) fosse conclusa. Ho guardato la trasmissione della parata, ho letto molto di quel che è stato scritto.
Ovviamente un gran fiume d'inchiostro e di pixel sulla Patria, sulla pace, sulla difesa della nostra cultura, sull'orgoglio di essere italiani, ma senza retorica, chiaro, e via di questo passo.
Mi sono sempre chiesta se abbiano un campionario di luoghi comuni e frasi fatte che tirano fuori dalla naftalina insieme al vestito delle grandi occasioni. Un'altra domanda che mi sono sempre rivolta è quale cultura ci sia ancora da difendere, visto che a ogni pie' sospinto ci è ricordato che non ci sono soldi, che bisogna tagliare, che dobbiamo tutti fare sacrifici e che «con la cultura non si mangia».
Ho rinunciato a voler capire se per sentirsi orgogliosi di essere italiani sia necessaria un'esibizione muscolare che mi ricorda tanto una versione riveduta, militarizzata e corretta delle gare preadolescenziali a chi ha, con rispetto parlando, l'attributo sessuale maschile più sviluppato. Pensavo che per sentirsi orgogliosi bastasse fare bene il proprio lavoro, manuale o intellettuale che sia, portare benefici a sé e alla collettività, ma dev'essere perché sono una donna: sono sprovvista di membro virile, non ho mai fatto le gare con le mie amichette della scuola media, quindi non posso capire certe cose.
Mi sono rassegnata, o quasi, all'idea che la pace si (es)porti con la forza delle armi: evidentemente i nostri governanti hanno tutti quanti letto la settima Filippica di Cicerone, composta poco dopo la metà del I secolo a.C., e hanno apprezzato in particolare il periodo si pace frui volumus, bellum gerendum est: «se vogliamo godere della pace, è doveroso fare la guerra». E come si fa a non apprezzarlo? Bello com'è, semplice, deciso, in stile Twitter ventidue secoli prima della nascita di Twitter. E poi è Cicerone. Mica pizza e fichi.
Una cosa, però, l'ho trovata di pessimo gusto. Non lo scialacquare due milioni di euro per una parata e avere ancora il coraggio di parlare di «sobrietà». Neppure il voler a tutti i costi essere «una grande potenza», rincorrendo standard che vanno forse bene per altri Stati, per altre economie, e buttando alle ortiche l'immenso potenziale economico, storico, culturale, ambientale e gastronomico che ci contraddistingue, quello sì, rispetto a tutte le altre nazioni del mondo.
No, la cosa davvero fastidiosa per me è stata un'altra. Mi riferisco a un'esternazione di ieri da parte di un ministro della Repubblica a proposito dei noti aerei F-35: «siamo già in una difficile condizione per la nostra Marina, perché rischiamo nel 2025 di non avere una flotta adeguata per il mantenimento dei nostri impegni: vanificare anche l'occasione di avere un'aviazione efficiente sarebbe una grave responsabilità. Un debito di sicurezza che ci assumeremmo nei confronti dei nostri figli».

Se mi fosse concesso di rispondere alcunché, sarebbe all'incirca questo: NON IN NOSTRO NOME. Non in nome di tutti i figli di questa Italia che cercano di sopravvivere, di trovare un posto nel mondo, e la cui unica fonte di sicurezza è trovare una sola buona ragione per perdonare una madrepatria che si va trasformando in terra matrigna.
O, in termini più semplici: tranquillo, signor ministro, quello è l'ultimo debito nei nostri confronti di cui deve darsi pena. Se proprio vuole preoccuparsi di qualcosa, ricordi le parole di Sandro Pertini: «si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame». Oppure, se lei e i suoi compari siete proprio convinti che spendere i soldi della Repubblica in armi sia cosa buona e giusta, almeno abbiate la decenza di trovare una scusa migliore che la sicurezza di una generazione di cui, evidentemente, non importa nulla a nessuno.

P.S.
Giusto per mettere le cose in chiaro: con la cultura forse non si mangia, ma si evita di essere mangiati!


«E se non hai morale
e se non hai passione
se nessun dubbio ti assale
perché la sola ragione che ti interessa avere
è una ragione sociale
soprattutto se hai qualche dannata guerra da fare
non farla nel mio nome
non farla nel mio nome
ché non hai mai domandato la mia autorizzazione
se ti difenderai non farlo nel mio nome
ché non hai mai domandato la mia opinione».
(Daniele Silvestri, Il mio nemico)