(pubblicato sul quotidiano online targatocn.it)
Ho aspettato, per scrivere, che la Giornata della Repubblica (proprio non ce la faccio a chiamarla Festa) fosse conclusa. Ho guardato la trasmissione della parata, ho letto molto di quel che è stato scritto.
Ho aspettato, per scrivere, che la Giornata della Repubblica (proprio non ce la faccio a chiamarla Festa) fosse conclusa. Ho guardato la trasmissione della parata, ho letto molto di quel che è stato scritto.
Ovviamente un gran fiume d'inchiostro e di pixel sulla Patria, sulla pace, sulla difesa della nostra cultura, sull'orgoglio di essere italiani, ma senza retorica, chiaro, e via di questo passo.
Mi sono sempre chiesta se abbiano un campionario di luoghi comuni e frasi fatte che tirano fuori dalla naftalina insieme al vestito delle grandi occasioni. Un'altra domanda che mi sono sempre rivolta è quale cultura ci sia ancora da difendere, visto che a ogni pie' sospinto ci è ricordato che non ci sono soldi, che bisogna tagliare, che dobbiamo tutti fare sacrifici e che «con la cultura non si mangia».
Ho rinunciato a voler capire se per sentirsi orgogliosi di essere italiani sia necessaria un'esibizione muscolare che mi ricorda tanto una versione riveduta, militarizzata e corretta delle gare preadolescenziali a chi ha, con rispetto parlando, l'attributo sessuale maschile più sviluppato. Pensavo che per sentirsi orgogliosi bastasse fare bene il proprio lavoro, manuale o intellettuale che sia, portare benefici a sé e alla collettività, ma dev'essere perché sono una donna: sono sprovvista di membro virile, non ho mai fatto le gare con le mie amichette della scuola media, quindi non posso capire certe cose.
Mi sono rassegnata, o quasi, all'idea che la pace si (es)porti con la forza delle armi: evidentemente i nostri governanti hanno tutti quanti letto la settima Filippica di Cicerone, composta poco dopo la metà del I secolo a.C., e hanno apprezzato in particolare il periodo si pace frui volumus, bellum gerendum est: «se vogliamo godere della pace, è doveroso fare la guerra». E come si fa a non apprezzarlo? Bello com'è, semplice, deciso, in stile Twitter ventidue secoli prima della nascita di Twitter. E poi è Cicerone. Mica pizza e fichi.
Una cosa, però, l'ho trovata di pessimo gusto. Non lo scialacquare due milioni di euro per una parata e avere ancora il coraggio di parlare di «sobrietà». Neppure il voler a tutti i costi essere «una grande potenza», rincorrendo standard che vanno forse bene per altri Stati, per altre economie, e buttando alle ortiche l'immenso potenziale economico, storico, culturale, ambientale e gastronomico che ci contraddistingue, quello sì, rispetto a tutte le altre nazioni del mondo.
No, la cosa davvero fastidiosa per me è stata un'altra. Mi riferisco a un'esternazione di ieri da parte di un ministro della Repubblica a proposito dei noti aerei F-35: «siamo già in una difficile condizione per la nostra Marina, perché rischiamo nel 2025 di non avere una flotta adeguata per il mantenimento dei nostri impegni: vanificare anche l'occasione di avere un'aviazione efficiente sarebbe una grave responsabilità. Un debito di sicurezza che ci assumeremmo nei confronti dei nostri figli».
Se mi fosse concesso di rispondere alcunché, sarebbe all'incirca questo: NON IN NOSTRO NOME. Non in nome di tutti i figli di questa Italia che cercano di sopravvivere, di trovare un posto nel mondo, e la cui unica fonte di sicurezza è trovare una sola buona ragione per perdonare una madrepatria che si va trasformando in terra matrigna.
O, in termini più semplici: tranquillo, signor ministro, quello è l'ultimo debito nei nostri confronti di cui deve darsi pena. Se proprio vuole preoccuparsi di qualcosa, ricordi le parole di Sandro Pertini: «si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame». Oppure, se lei e i suoi compari siete proprio convinti che spendere i soldi della Repubblica in armi sia cosa buona e giusta, almeno abbiate la decenza di trovare una scusa migliore che la sicurezza di una generazione di cui, evidentemente, non importa nulla a nessuno.
P.S.
Giusto per mettere le cose in chiaro: con la cultura forse non si mangia, ma si evita di essere mangiati!
«E se non hai morale
e se non hai passione
se nessun dubbio ti assale
perché la sola ragione che ti interessa avere
è una ragione sociale
soprattutto se hai qualche dannata guerra da fare
non farla nel mio nome
non farla nel mio nome
ché non hai mai domandato la mia autorizzazione
se ti difenderai non farlo nel mio nome
ché non hai mai domandato la mia opinione».
(Daniele Silvestri, Il mio nemico)
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