mercoledì 30 gennaio 2013

Uno alla volta per carità

Ho appena scoperto che Aprile metterà a dura prova i miei nervi. Il mese sarà spezzato in due da un matrimonio e da una cresima che si terranno, udite udite, in due giorni consecutivi. In tutto questo, c'è anche il jolly della discussione tesi, che si terrà in un giorno non ben definito nella prima metà del mese... considerando che Pasqua cade il 31 marzo, ho isolato due scenari che mi fanno ugualmente paura, ribrezzo e terrore:

Piano A. La discussione cade il 2 aprile, martedì. Il giorno prima, Pasquetta, lo passo in compagnia degli amici biellesi che mi hanno invitata già da novembre. Mi propongo di non bere ma, poiché di buone intenzioni è lastricata la via dell'inferno, l'1 mattina ho già in corpo due Malibu, un Martini rosa e uno Sbagliato. L'1 sera corro a prendere l'ultimo treno da Biella, che ritarda e mi fa perdere l'ultima coincidenza a Santhià. Elemosino un posto per la notte agli amici e il mattino successivo arrivo in sala lauree trafelata, spettinata, con la nausea e le occhiaie che toccano terra. Indossando, naturalmente, una maglietta di Snoopy perché non ho fatto in tempo a passare da casa a cambiarmi.

Piano B. La discussione cade il 12 aprile. Contando che il matrimonio è il 13 e la cresima è il 14, l'idea è più o meno questa: il venerdì, fresca come una rosa, mi faccio massacrare a Torino dalla mia CONTROrelatrice, che è una tenera vecchina tanto cara che in sede d'esame e/o di discussione tesi si trasforma in un mostro assetato di sangue (il mio). Il sabato mi presento a Chatillon, incurante dello sguardo preoccupato della sposa e degli invitati che non osano chiedermi perché abbia gli occhi gonfi e pieni di lacrime, la faccia di una che non ha dormito e se sia il caso di presentarmi a un matrimonio in quelle condizioni. La domenica mi trascino sui gomiti a Milano alla cresima della mia cuginetta, ma svengo durante la sosta in autogrill a Melegnano o giù di lì.

Specchio, specchio delle mie brame

Secondo me esiste una lobby dei costruttori di specchi per il bagno.
Li costruiscono in modo tale che deformino e ingigantiscano qualunque difetto quando ci specchiamo ogni mattina, così da farci sentire delle cozze e da farci spendere più soldi in trucchi, creme idratanti, prodotti per capelli e balle varie.
Ora che ci penso, devono essere ammanicati con la lobby dei costruttori di specchi per i camerini dei negozi di abbigliamento. Altri brutti cattivoni che ci fanno sembrare dei cuccioli di balenottera...
... in realtà, se non fosse per gli specchi, noi saremmo delle fighe. Come no.

martedì 29 gennaio 2013

Miraculum est!

Certo che alcuni allievi sono proprio strani.
Se i compiti in classe vanno male, è colpa tua. Se vanno bene, non è merito tuo, no, troppo facile: quei compiti sono miracolosamente andati bene.
A un'allieva in particolare, che dopo avermi fatto sudare sette camicie è riuscita a tirar fuori la solita storia del miracolo, ho risposto: «non è un miracolo, cara, è il frutto del duro lavoro...». Ammetto però che avrei voluto rispondere: «ah bella, guarda che qui l'unico miracolo l'ho fatto io!».
Eccheccavolo.

sabato 26 gennaio 2013

Un normale venerdì di sciopero dei mezzi

Mettiamo bene in chiaro una cosa, amici omini di GTT: mi state tanto simpatici, mi portate in giro per la città senza accumulare ritardi mostruosi come i vostri cugini di Trenitalia (tranne voi del 66 di merda, direzione Marco Aurelio, che passate una volta ogni mezz'ora su vetture lercie che cadono a pezzi e quando vi saluto salendo a bordo non mi rispondete neanche «muori», ma si sa, nessuno è perfetto), siete educati e affabili nel fare due parole quando mi controllate l'abbonamento, bene bravi bis. Però questa strana coincidenza per cui, voi e quegli altri trenitalici, scioperate sempre di venerdì pomeriggio, a poche ore dal fine settimana, qualcuno me la deve spiegare. A voler essere malfidenti, si potrebbe pensare che chi non ha turni di sabato e domenica lo faccia per crearsi magicamente un weekend lungo. Non è bello pensar male di qualcuno che ci sta tanto simpatico, no?
Poi: il diritto di sciopero è sacrosanto, non discuto; ma cari lavoratori dipendenti, qualcuno vi ha mai spiegato che non tutti hanno le vostre stesse tutele? Un libero professionista, come la sottoscritta (trattengo moto di risa), sta a regole ben più ferree: se non lavoro, non mangio. E non c'è sciopero, periodo di ferie o di malattia che tenga.
Per cui, cari omini di GTT, ringraziate solo il fatto che ieri era una bella giornata, che c'erano tredici gradi, che Augusta Taurinorum negli anticipi di primavera è splendida e che non mi è dispiaciuto macinare a piedi due chilometri in dieci minuti per andare a guadagnarmi il pane. Altrimenti mi sarebbe venuta una gran voglia di stracciare l'abbonamento, passare al car sharing e vaffankù.

venerdì 25 gennaio 2013

I mulini a vento al tempo della crisi

Stamattina mi sono svegliata avendo in mente uno di quegli aforismi che, a furia di passare di bocca in bocca, nessuno sa più chi abbia pronunciato. C'è chi dice che sia un proverbio cinese, o chissà, forse è una frase di uno di quegli scrittori che agli aforisti facebookiani ossessivo-compulsivi piace tanto anche se non hanno mai letto un loro libro. Ognuno dice la sua. Nel mio lavoro, le fonti hanno un'importanza capitale, eppure mi sento di dire che in questo caso non è importante chi davvero abbia scritto questa frase: se non è più di nessuno, allora è di tutti, e il bello è proprio questo.

La frase in questione è:
«Quando il vento del cambiamento comincia a soffiare, alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento».

E ho avuto un pensiero improvviso, un po' come l'epiphany di Joyce ma molto più in piccolo. Di solito, nella nostra cultura, gli unici mulini a vento cui si pensa sono quelli di Don Chisciotte. Li scambiava per mostri pericolosissimi e li combatteva con tutte le sue forze, inutilmente. Anche noi diciamo «combattere contro i mulini a vento» per intendere una lotta vana, che non possiamo vincere, che ci sfibra e ci frustra. Ma se invece avesse ragione quel proverbio? Quelli che crediamo temibili avversari, i nemici mortali della nostra sicurezza e della nostra stessa vita, potrebbero diventare i nostri migliori alleati. A condizione di saperli sfruttare, certo. Forse passiamo troppo tempo a lottare contro le cose sbagliate.


giovedì 24 gennaio 2013

To fall in love

«Com'è che ci si innamora?
In inglese si dice to fall in love, cadere nell'amore, ma nell'amore non si cade come si cadrebbe in un buco. Si cade come si cadrebbe nello spazio. È come spiccare un balzo dal proprio pianeta personale per andare a visitare il pianeta di qualcun altro. E una volta che lo si raggiunge, tutto sembra diverso: i fiori, gli animali, i colori di cui si vestono le persone.
Innamorarsi è fonte di grandi sorprese, perché prima si pensava che sul proprio pianeta tutto fosse in ordine e sotto controllo, ed era vero, in un certo senso, ma poi qualcuno ci ha lanciato un segnale dall'altro capo dello spazio, e l'unico modo per andare a trovare quella persona è stato facendo un grande salto. Ed ecco che andiamo, cadiamo nell'orbita di qualcun altro, e dopo un po' magari decidiamo di avvicinare i due pianeti e farne la nostra casa. E di portarci anche il cane. O il gatto. Il pesce rosso, il criceto, la collezione di sassi, tutti i nostri calzini strani (quelli che abbiamo perduto, compresi quelli bucati, saranno sul nuovo pianeta che abbiamo scoperto). E possiamo anche portarci in visita gli amici. E leggerci a vicenda le nostre storie preferite. E la caduta di cui sopra è in realtà stata il grande salto che abbiamo dovuto compiere per stare con qualcuno senza il quale non vogliamo più stare. Semplicemente.
PS: ci vuole coraggio».


lunedì 21 gennaio 2013

Coinquilini, parte prima

«Ciao, chiamo per l'annuncio della camera in affitto...».
Chiunque sia uno studente fuori sede ha pronunciato questa frase, o l'ha sentita dire, almeno una volta nella vita. Dopo il primo anno, in cui le matricoline sparute, se non hanno già agganci e santi in paradiso, vanno incontro a una solenne fregatura, scatta una girandola di ricerche spasmodiche e lotte all'ultimo sangue per trovare l'offerta migliore. Le bacheche di università, sale studio, bar e palestre si popolano di giovani esagitati che, dietro sorrisi gentili, nascondono occhiate gelide e guardinghe volte a evitare che il vicino stacchi l'annuncio cui proprio loro sono interessati.
Una volta strappato il fatidico appuntamento, però, il peggio deve ancora arrivare. Ci sono due possibilità:
a- Incontri il padrone di casa. Nulla da segnalare: ognuno farà del suo meglio per vendere la propria merce; il proprietario per far sembrare l'appartamento migliore di quello che è, tu per sembrare meno squattrinato e/o disperato di quello che sei.
b- Tratti con un inquilino che vive già in casa. Come si dice a Roma, e mò so' cazzi.

Svariate sono le tipologie d'inquilino/a, alcune delle quali possono anche convivere in una sola persona. Qui la prima parte:

Il primo arrivato. Prende in affitto la casa in blocco e poi si occupa di subaffittare le altre stanze, facendo le veci del padrone di casa. Si sente in missione per conto di Dio e organizza tutto nei minimi dettagli: tempesta di annunci i siti specializzati (si affida alla tecnologia, per lui le bacheche sono out), reperisce le bollette degli ultimi dieci anni e calcola una media ponderata dei consumi, sciorina leggi, leggine e commata ignoti anche al loro estensore, sa stendere contratti meglio di un notaio e conosce meglio del tuo commercialista ogni possibile detrazione fiscale, non lascia nulla al caso. Unico inconveniente: nel 99% dei casi, il prezzo delle stanze è maggiorato. La variante meno onesta lo fa per intascarsi la differenza, l'altra semplicemente per pagare di meno la propria camera. Chi tardi arriva, male alloggia.

La mamma. Esemplare di studentessa all'ultimo anno, solitamente studentessa-lavoratrice, ha cambiato un numero di case compreso tra 5 e +infinito. Da pulcino impaurito degli esordi, che viveva di pasta col tonno, arrivava a casa il lunedì mattina e tornava dai suoi il giovedì pomeriggio, si è trasformata in un'esperta di vita in appartamento e di convivenze con estranei. Sa fare qualunque cosa, dalle melanzane alla parmigiana a riparare la caldaia rotta. Memore del suo passato da pulcino impaurito, prova tenerezza per i coinquilini più giovani e tende a prenderli sotto la propria ala protettiva, da brava mamma chioccia che dispensa consigli con fare amorevole e cucina per tutti. Come per ogni mamma, però, è difficile distinguere la fata che ti nutre dal kaiser che ti educa: se vai a viverci insieme, il primo mese sarà un paradiso, ma poi prova a lasciare un piatto sporco o lo stendibiancheria fuori posto e la coinqui-mamma ti lancerà un'occhiata assassina che ti farà quasi rimpiangere la tua genitrice biologica.

La fidanzatina. Di solito è la stessa studentessa di cui sopra, qualche anno prima di fare l'upgrade a Mamma. Dolce, simpatica, alla mano. La conoscerai single malinconica e ti ci divertirai un mondo tra viaggi, feste e gruppi di studio. A un certo punto, però, lei trova l'amore e l'idillio si rompe. Il suo boyfriend inizia praticamente a vivere da voi e, in men che non si dica, puoi dire addio alla tua parte di camera. E al divano. E al bagno.

La macrobiotica. Giovinetta dal fascino etereo e dalla silhouette longilinea, si nutre esclusivamente di cibi biologici, farro scondito e insalata senza sale. Non ha problemi di salute, è solo convinta che qualunque alimento con più di 25 kcal sia veleno allo stato puro. Peccato che tenda a dare di matto ogni volta che qualcuno nel raggio di venti metri mangia un grissino non biologico, una fetta di pane con burro e marmellata o un piatto di bucatini alla amatriciana. Se la incontri quando vai a vedere un appartamento e ti offre il caffè, attenzione: è una trappola. Alla domanda «quanto zucchero?» rispondi «zero», o sarai calciorotato all'istante. Se già ci vivi insieme, inizia a sgranocchiare sotto i suoi occhi un paio di tortillas alla paprika... e tieni sotto mano il numero del più vicino Centro d'Igiene Mentale.

Il politico. Mellifluo, ambiguo e sicuro di sé come il più consumato dei politicanti italici, ha il piglio del leader e un sorriso a ottantasei denti che nemmeno Barack Obama (o, se donna, Sarah Palin durante le presidenziali). Ritiene di essere l'anima della casa e che non si muova foglia che lui non voglia. Può essere in grado di spodestare il Primo Arrivato nella mansione di far vedere la casa ai potenziali inquilini: in tal caso, sfodererà il suo sorriso migliore e il suo sguardo da latin lover nell'illustrare le bellezze dell'appartamento, condendo il tutto con frasi come «non ti preoccupare per il contratto, parlo io con il padrone!». Le possibilità sono due. In un caso (Politico Disonesto), per la modica cifra di 800€ affitterai una comodissima stanza di due metri per due a Calcutta. Nell'altro, il ragazzo è davvero impegnato in politica, un giovane di belle speranze convinto di poter cambiare il mondo: avrai la tua camera, ma preparati a vivere in una casa trasformata in una sezione di partito.

La zoccola. Il nome parla da sé. Giovane donna, procace, ma non necessariamente, carina, ma non necessariamente; vissuta in un paesino retrivo e moralista, appena mette il naso fuori casa si dà alla pazza gioia. A un primo incontro sembra semplicemente una ragazza un po' più spregiudicata del solito; se diviene la tua coinquilina, munisciti di tappi per le orecchie. I briosi barriti dei suoi partner, che la fanciulla cambierà con la frequenza con cui tu ti cambi le mutande, ogni sera terranno compagnia al tuo sonno insieme al rumore delle molle che cigolano.

La suora (altrimenti nota come La SantaMariaGoretti de' noantri). Specularmente opposta al tipo precedente, conduce una vita irreprensibile. Va a dormire alle dieci di sera, l'unico contatto maschile che ha in rubrica è il fratello, zero alcol, poco cibo, niente sesso e molti psicofarmaci. Vive in un mondo tutto suo e ogni tanto parla da sola. Quando crederai che stia per raggiungere l'unione mistica con Dio, stupirà tutti impelagandosi in una relazione con un uomo sposato e con prole, se ne innamorerà perdutamente e inizierà a ripetere frasi sconnesse del tipo «mi ha promesso di lasciarla». Sì, nel duemilacredici.

La yogi (altrimenti nota come La Madonnina Infilzata). Esperta di discipline orientali, vegana, sempre tesa al miglioramento di sé e paladina del Fare La Scelta Giusta. Curioso esemplare di millantatrice: è talmente impaurita dalle proprie pulsioni che assume le movenze della Suora, il più delle volte nella variante-maestrina. Almeno finché l'attitudine da coinqui-zoccola non ha la meglio: in tal caso si generano cataclismi, amicizie maschili decennali distrutte, matrimoni sfasciati, lancio di coltelli e estinzioni di massa. Il suo fidanzato storico, dopo aver finto indifferenza per anni, da Cornuto e Contento si ritroverà retrocesso al rango di Cornuto e Basta.

Per ora basta così. Solo una piccola regola: se non associ una tipologia d'inquilino a qualcuno che conosci, tieni presente che quell'inquilino potresti essere proprio TU.

... to be continued...

venerdì 18 gennaio 2013

Pensierini del venerdì sera

1. Una gigantografia in piazza Statuto avvisa che sono tornati di moda i banchi dei pegni. Ora sono glamour e chic, lontani dall'aria cupa e medievale di un tempo, ma sempre banchi dei pegni sono.

2. Visto che di mettermi a dieta e di dormire di più non se ne parla, sto meditando di prendere come mio animale totemico il Panda Ciccione (questo qui a fianco).

3. Il prossimo che mi chiama «signora» lo mordo.

4. Per fortuna ci pensa l'amica Scilla a risollevarmi il morale, scrivendomi che sono «l'amica che tutti vorrebbero». Non so perché e dubito abbia ragione; ma prendo, incarto e porto a casa.

5. Mantra del 2013: nel dubbio, togli. Aggettivi, avverbi, fronzoli.

6. Qualcuno sa perché le commesse dei negozi di cosmetici sono sempre truccate malissimo? Dai, è un controsenso bello e buono.

lunedì 14 gennaio 2013

Mia cugina

Mia cugina che molla il fidanzato storico, dopo averlo ampiamente cornificato, a dieci mesi dalle nozze.
Mia cugina che si mette a cambiare partner con la frequenza con cui io mi cambio le mutande. In un piccolo paese del profondo sud Italia, per inciso, dove la gente è cattiva e a volte ti viene da pensare che davvero Cristo si è fermato a Eboli.
Mia cugina che incontra un tizio con la faccia da scemo, che non viene dal paesino e non sa nulla dei suoi trascorsi, e nel giro di tre mesi ci si fidanza ufficialmente, con tanto di festa a casa, mille parenti, abiti da matrimonio, capelli freschi di tintura e permanente, due dita di trucco.
Mia zia che ringrazia iddiolamadonnatuttiisanti perché qualcuno «si è preso sua figlia».
Mia cugina che mi spamma la casella e-mail di foto mai richieste della suddetta festa di fidanzamento.
[Se rispondo «I don't give it a fuck», vale come legittima difesa?]

Mia cugina che mi chiede perché, dopo un anno e mezzo, non mi sono ancora «fidanzata ufficialmente». E io che ho la tentazione di rispondere che mia madre, a differenza della sua, non ha nessuna intenzione di vendermi al miglior offerente.

mercoledì 9 gennaio 2013

A una vecchia amica

Cara Fede,
eravamo "vicine di classe" al liceo. Non siamo mai state amiche per la pelle, ma in quell'ambiente pieno di figlie di papà e di bastarde tagliagole eri una delle poche a avere la mia stima. Quasi ogni giorno ci mettevamo a parlottare nei corridoi, o alla fermata dell'autobus, e ti ricordo, per quel poco che ti ho conosciuta, come una bella persona. Simpatica, divertente, sempre gentile. Ti adoravano tutti. Negli anni dell'università ci siamo un po' perse, ma ogni volta che ci vedevamo era un piacere incontrarti.
Forse è un bene che non abbia saputo prima della tua malattia, che non ti abbia vista negli ultimi giorni: sarò egoista, lo so, ma mi piace pensare a te come una ragazza sorridente, bella e con una grandissima luce negli occhi. Sarà così che parlerò di te ai miei figli, quando mi chiederanno di quando ero giovane. Voglio che abbiano una bella immagine di te, come l'avrò sempre io: la leucemia si è portata via la tua vita, non voglio che si mangi anche il tuo ricordo. Eri, sei, una persona che trasmette gioia e non meriti di essere ricordata con tristezza.
Addio, Fede, e riposa in pace. Forse ci rivedremo, un giorno. La terra ti sia lieve.

lunedì 7 gennaio 2013

L'Afrique c'est chic

«Non è vero che i mariti, quando vedono una bella donna, dimenticano di essere sposati: proprio in quel momento se lo ricordano dolorosamente».
Mark Twain

Metro, lunedì pomeriggio. Seduta di ritorno dal lavoro e con la vaga sensazione di avere due linee di febbre. Mi sento osservata, ma non ci faccio caso.
Arrivo alla mia fermata. Scendo e imbocco le scale mobili. Mi sento ancora osservata. Mi giro e vedo un ragazzo bello come il sole che mi fissa incuriosito. Faccio finta di nulla. Mi giro, e lui mi guarda ancora. Fingo ancora di non essermene accorta, ma poi non resisto e mi giro di nuovo: niente, è ancora lì. Mi volto dall'altra parte, ma sento rumore di passi: oh cavolo, sta salendo verso di me.
Mi sorride e attacca bottone. Mi racconta che viene dal Senegal e varie altre cose. Ci prova con me. In francese.
Fortuna che vengo dalle Alpi Marittime e che Città Mesopotamia gravita da sempre su Nice Ville (dico, in quale altra città d'Italia la strada principale non si chiama via Roma ma corso Nizza?). E poi dicono che l'inglese è la lingua del futuro e le altre lingue non servono più a niente...

Mi viene in mente l'aforisma di Mark Twain e lo faccio mio, rivisitandolo e adattandolo alla mia condizione di dolce fidanzata.
E poi, scherzi a parte, mi vengono in mente le parole della Professoressa MDL, buon'anima, alla prima lezione di francese della mia vita: «l'inglese è la lingua della tecnologia, è vero, e l'italiano è la lingua della storia e dell'arte. Ma il francese, ragazzi... il francese è una lingua per parlare d'amore».

giovedì 3 gennaio 2013

Fischia il vento

Un giorno ti guardi allo specchio e ti rendi conto che stai diventando grande.
Lo stiamo diventando tutti quanti, per la verità: tutto il mio gruppo di amici è alle prese con la medesima sensazione. Un po' strana e straniante, ma che ci possiamo fare? Scarpe rotte, eppur bisogna andar.
Il vento che s'infila per i lunghissimi corsi di Torino, prendendo velocità e entrandoci nelle ossa, ci ha portato una notizia straordinaria: una di noi, un'amica che è come una sorella, aspetta un bambino. Lei e il suo fidanzato non l'hanno cercato, ma l'hanno amato subito. Sanno che sarà difficile, ma hanno compiuto una scelta di grande responsabilità. E così, se tutto va come deve andare, a metà agosto la nostra strana famigliona avrà un membro in più, e io diverrò Zia Lucy.


Credo ci voglia un coraggio da leoni per mettere al mondo un figlio adesso. E ammetto che vorrei averne anche solo la metà, del loro coraggio.

Audentes fortuna iuvat, scriveva il buon Virgilio. Buona fortuna, piccola creatura, e buona fortuna, amici miei: ne avrete un gran bisogno.